Recensioni critiche

OMBRE TANGIBILI IN UN COLORE D'OMBRA

L'intersecarsi di valori simbiotici di natura pulsante, carnale, "palese", evidenzia la fine caratteristica di una visione viscerale, atta ad una pura simbologia introspettiva. Ma va oltre. Ci sono dimensioni microscopiche, pieghe particolareggiate, è come se il microcosmo fosse la vera opera. E in un certo senso così è. Vi è da dire che la spettacolare capacità dell'uomo di trovare linguaggi semplici in un sempre più complesso significato, spinge ad evidenziare la naturale propensione dell'autore a far parlare una parte propria di pre-linguaggio, un pò come mettere su carta il residuo (percepibile) inconscio del proprio io. Ma la simbologia non è caratterizzata unicamente da un micromondo, e quest'opera segna a più tratti la denominante comune che è essenzialmente un linguaggio metodico, istintivo, pulito e direi quasi abbastanza lineare visto macroscopicamente.

I colori fanno da contrasto all'insieme sensoriale del "messaggio pulsante", simboleggiano la superficie di un contesto emotivo, spesso rappresentato da simboliche variazioni del colore, il rosso è il dolore, il blu la calma ma anche "l'essere fermi", il giallo il cambiamento. Raramente il nero ha un'aria sinistra, ciononostante si distacca da tutto, creandosi anche l'addove palesemente nero non è. Il viola è raro, ma quando è presente colpisce. Facilmente si identifica un tratto continuativo in tutte le opere, simbolicamente è un'allegoria continua di una crescita personale, è uno specchio visivo similissimo ad uno pseudo concetto di "diario personale".

Alcune opere marcano cambiamenti specifici, o specifiche sofferenze, in quei tratti la materia si "spezza", si "scioglie" in alcun tratti scompare, come interrotta da un silenzioso oblio. Tra i tratti "viscerali" il più evidente è senza dubbio la visione del colon, disunita ma accorpata, proprio come in un rigetto-stampo di un proprio stato d'essere. Vi è poi una visione cellulare, il micro simboleggiato dalla propria stessa struttura, a simboleggiare la verità e le sue "conseguenze", che inevitabilmente nell'opera diventano un ciclo obbligatorio, sensorialmente "senza fine", l'universo "imperfetto" ma "non volatile". La visione della "carne" è rafforzata dalle dimensione della simbologia primaria (il colon), qui l'autore rappresenta marcatamente la sua sessualità, rafforzata o indebolita spesso più dal momento in sè che dall'ispirazione a brevissimo termine. La mancanza di linguaggi aggiuntivi paradossalmente non sembra essere un limite, costringe l'occhio ad atteggiare pensieri decisamente più istintuali, slegati dai linguaggi interpretativi, permettendo una sempre più soggettiva interpretazione. Talvolta è difficile stabilire se "l'immagine del momento" sia statica o meno, pare sia simultaneamente un senso di "caos calmo" e "caos". Non è difficile cambiare opinione sulle emozioni che l'opera suscita, diventa però maggiormente attento l'occhio alle intenzioni dell'autore, che in questo senso si "denuda", si mette nella condizione di essere profondamente osservato. Non a caso, su questa considerazione va notata la notevole carica di esibizionismo artistico, che spinge l'autore a creare delle lenti di ingrandimento sulla propria anima-viscera.

In definitiva ritengo l'opera degna di attenzione, sinceramente c'è dell'originalità. Senza dubbio l'autore è in piena evoluzione e se la strada che ha percorso dovesse continuare in tal senso sono convinto che i suoi introspettivi, viscerali, pulsanti "corpi d'arte" avranno sempre più capacità di andare nel profondo.

Saverio Comparini

OPERA DI RIFERIMENTO:

Viscere

SEGNO ed ENERGIA


Inquadrare per poi decidere dove andare. Sentire per poi perdersi dietro al primitivo segno di una vita. Accovacciarsi per sfuggire al timbro del colore e dissuadersi per contrattare con il gesto.
Così la mano di Bonifacio Castello ha invocato il suo segno, librandosi dietro a correnti che si intrecciano nelle nostre menti come frammenti di una realtà che sembra essere passata, ma ancora fantasma della nostra immaginazione.
Un surrealismo sovrano annuncia l’entrata a gocce profumate di Mirò e accordate a grida espressioniste che si nascondono dietro il vento.
I richiami delle opere sono così forti da farci domandare da dove l’ impronta sia nata. Ma come molte virgole spuntano dalla parola, qui siamo dove la vocale non esiste. Cominciare dal principio significa crearlo e così Bonifacio dopo aver sciolto ogni vincolo di preesistente, ha sopraffatto il suo pensiero con frammenti di epoche passate, riallacciandole alla società odierna.
Bonifacio Castello ci fa capire come la materia possa essere plasmata dal tempo che segna la nostra pelle e sottolinea la sua precarietà. La pioggia bagna, il fuoco brucia, il vento secca e l’umano invecchia. Allora a chi appellarsi se non alla sostanza? Sostanza della natura, sostanza del ciclo biologico, sostanza della concretezza della materia, unica protagonista nelle mani dell’artista.
Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Firenze nel 1996 e laureando in storia dell’arte all’università di Lettere,Bonifacio Castello continua la sua ricerca antropomorfa in uno spazio che respira il caos di una guerriglia interiore.
Attualmente impegnato nella stesura di una tesi su Sebastian Matta, l’artista mi confida il suo interesse per l’essenziale, invisibile all’occhio umano. Lo stesso Matta parlava di un mondo nascosto della materia, di un mondo visto al microscopio con i suoi atomi e molecole e io credo che sia proprio da qui che Bonifacio sia voluto partire.
Originario di Matera, l’artista mi ha spesso parlato del suo paese come un luogo saturo di misticismo dal respiro secolare, Un luogo delineato da buchi, da cavità, da grotte, da angoli bui e tenebrosi.
Beh, anche per chi non avesse mai visto la terra dei Sassi, posso dirvi che questo paese lucano ha origini molto antiche. Il suo territorio testimonia insediamenti continui sin dall'età paleolitica. Nelle grotte sparse lungo le Gravine materane sono stati ritrovati diversi oggetti risalenti a quell'epoca. (Chissà se Castello non ne abbia riportato uno nelle sue opere!) Con le Età dei metalli nacque il primo nucleo urbano, quello dell'attuale Civita, sulla sponda destra della Gravina.
Sì, credo proprio che Bonifacio Castello sia un buon interprete della storia del suo paese.
Non è un caso infatti che il suo lavoro comprenda riciclaggio di materiale, strutture geometrizzate e materia fustellata .
Ma il nostro artista oltre che a illuminare il suo Io si preoccupa anche del mondo in cui vive. Se sento il bisogno di dire questo è perché poche volte s’incontrano personaggi che uniscono impegno e afflato artistico e quando ho conosciuto Bonifacio ho capito che lui era uno di quelli. Castello alterna il suo lavoro di artista ad assistente in una casa di accoglienza per bambini disagiati e credo che in molti suoi chiaroscuri bagnati dall’argento , siano presenti pianti desolati e dannati. È la realtà e a volte vorremmo dimenticarcela ma fa parte della nostra società e se anche uomini d’arte cercano di trovare una salvezza è giusto che il loro lavoro venga compensato.
Bonifacio Castello nato nel 1973, debutta nel 1987 con una Personale di grafica figurativa a Metaponto. Nel ’88 lo troviamo in una Collettiva di pittura a Miglionico , dal titolo: paesaggio Lucano. Nel ’89 a Aliano in : Terramia.
Finalmente nel territorio toscano, Bonifacio partecipa alla Collettiva di giovani artisti europei nel ‘ il ritratto e la sua interpretazione ‘ ; siamo a Firenze nel 1994.
Nel ’96 l’artista ritorna nel suo paese come ideatore del progetto Land-Art: il bello è dentro. Mille e trecento metri quadri di superficie da impacchettare, In questo caso senza l’aiuto di elicotteri come erano abituati a fare Christo e Jeanne-Claude. I suoi collaboratori si armano di Spanbon, materiale per pavimenti, per ricoprire la chiesa rupestre di S. Maria de Idris e S. Giovanni in Monterrone.
Ma non finisce qui, Bonifacio Castello nel 2007 organizza una Personale di fotografia digitale: Onirico Erotico, al Dolce Vita di Firenze, con una consulenza telefonica di Tinto Brass.
Nello stesso anno a Roma per ‘ Energia in Movimento ‘ al laboratorio Emozionale, partecipa alla Collettiva di pittura e grafica.
Come vediamo il suo lavoro è vario, energico e appropriato con l’uso più svariato di materiali, dalla pittura a olio, allo smalto,alla trementina, all’argilla e a tutto ciò che viene prodotto dalla natura.
Oggi continua il suo lavoro di committenza tra terra toscana e lucana e presto sentiremo parlare ancora di lui. Forse per un’altra personale, forse per una nuova ricerca del segno o addirittura per la sua collaborazione in gallerie d’arte. Non ho il permesso di parlarne. Perciò quello che possiamo fare adesso è aspettare.

Sara Janni

OPERA DI RIFERIMENTO:

Vermi