recensioni critiche

IRENE TADDEI. ARCHITETTURE INTELLETTUALI.

Frammenti del passato disciolti in nevralgiche memorie architettoniche raccontano la storia solenne e spirituale dell’uomo. Al di sopra dell’esistenza, al di là del visibile, imponenti architetture intellettuali svettano con enfasi narrativa dall’immaginario creativo di Irene Taddei.
Come soliloqui del pensiero, le fotografie dell’art designer toscana descrivono sapientemente l’intima sensazione di sospensione umana, di ossequio e timore per l’indicibile, al cospetto dell’incommensurabile. L’animo si prostra al recondito disegno dell’universo e dal tumulto dello scatto in bianco e nero affiora, con palpito inatteso, la grandiosa poetica del sublime, espressa attraverso un accurato studio luministico e una sperimentazione formale senza pari.
La ricerca artistica di Irene Taddei permea di umori romantici e postmoderni che nel loro connubio intrinseco contribuiscono a forgiare l’idea di un’urbanità interiorizzata. Città della psiche sono queste immagini, specchio del desiderio di conoscenza.
Nella serie “Tensione dinamica” vengono sviluppati i concetti di limite, memoria e sfida, in cui il movimento diviene paradigma dell’interpretazione critica, nonché elemento caratterizzante del percorso emotivo. Un tappeto di porpora interrompe il silenzio cosmico dello scatto, suggerendo un’ascesa dell’intelletto.
Da “Spazio del movimento” sono desunti, invece, i motivi del gioco architettonico e l’avvolgenza delle forme, motivi che assumono tratti più monumentali in “Identità complessa”. Dalle vestigia del passato Irene Taddei estrapola i singoli elementi e i dettagli strutturali capaci di rivivere di una nuova luce intellettuale verso il futuro della fotografia contemporanea.

Recensione critica a cura di Sabrina Falzone

OPERA DI RIFERIMENTO:

Curva Ruvida

Foto d'architetture, strutture regolari, che evocano ordine e una nitidezza in grado di rappacificare l'animo.
I contorni netti di quelle linee e forme catturate nell'immagine, evocano una risoluta limpidezza. Una solida regolarità che non limita l'orizzonte
interiore, ma lo dischiude su vogliosi e forse misconosciuti
scalpitii di libertà.

Recensione critica di Carla Fleischli Caporale

OPERA DI RIFERIMENTO:

Tensione dinamica. Spazio della Memoria

Non è presenza umana nelle architetture in bianco e nero di Irene Taddei, eppure non sono scenografie non antropizzate, né suggeriscono malinconia o lontananza; sembrano piuttosto suggerire la direzione dello sguardo collettivo, voltato all'unisono verso uno scenario dove nulla accade, ma che deve necessariamente essere guardato solo per il fatto di esistere e di essere stato composto da uomini. Taddei prepara mirabolanti palcoscenici per attori casuali, ossia per chi, passando sotto la scala elicoidale di Momo, non può fare a meno di alzare lo sguardo: nel momento di stupore esiste il suo scatto fotografico.

Recensione critica di Cecilia Paolini
Galleria Arte Pignatelli

Irene Taddei è una fotografa di grande talento con un gusto speciale per le geometrie nate dall’incontro fra le imponenti realizzazioni architettoniche e scultoree e lo sguardo razionalizzante dell’osservatore attento. Una sensibilità fuori dal comune che riesce, attraverso il filtro della propria formazione di architetto e una indiscutibile dotazione culturale, a cogliere - o piuttosto a restituire, ai grandi edifici e ai piccoli dettagli l’originaria bellezza delle idee che abitavano la mente di chi li ha concepiti. E forse anche di più, per il noto motivo che ogni opera è opera aperta e si arricchisce dell’interpretazione di chi guarda e interpreta. In questo senso Irene è un re mida del mondo che ci circonda, fatto di oggetti che sono opere, poiché con il proprio sguardo fotografico riordina, ripulisce, sposta ed esalta i luoghi comuni della nostra esperienza visiva quotidiana. Mai opposizione tra cultura e natura è parsa così accentuata e ad un tempo così lieve come nel riflettere su queste opere: accentuata perché il rigore formale delle coincidenze tra linee piani, la geometria inappuntabile di ombre e luci che dialogano tra loro sembrano contendere alla natura lo scettro della perfezione (dunque una opposizione per competizione); lieve in quanto la semplicità con cui ogni elemento si annoda, disgiunge, concilia e diparte è tanto armonioso da poter essere definito, a pieno diritto, naturale.

Recensione critica di Vittorio Riguzzi

Scatti architettonici come ricordi di viaggi lontani, testimonianze visive di suggestioni discoste, questi i capolavori della brillante art-designer toscana, in mostra presso gallerie di città europee e d'oltreoceano. Particolari accattivanti, estrapolati dalle metropoli odierne, ricevono nei tagli particolari di Irene un respiro nuovo, profondo, senza tempo e senza spazio. E' esattamente questa la sensazione che si prova al cospetto dei suoi affascinanti scorci: le unità spazio-temporali perdono consistenza, sfumano via e lasciano posto alla sospensione bergsoniana degli attimi. In un istante, quello del gesto meccanico del "click", il flusso delle ore si placa: in quell'attimo il matematico e reversibile tempo della scienza si sovrappone e coincide con il sublime e personalissimo tempo della vita. Il passato insegue il futuro e si immortala nell'istante presente di uno scatto fotografico, in cui le linee corrono veloci, moti orizzontali e obliqui si avvertono come il continuo moto dell'incoscio e del divenire ciclico del Tutto. Come le Avanguardie d'inizio Novecento, la Taddei traduce sul film fotografico il moto interiore di realtà di per sé immobili. Il silenzio della Storia si fa vivo e palpita nei ritratti in bianco e nero: nel rosso porpora che corre sul grigio di uno scalone, nella vorticosa chiocciola di un androne elicoidale, nella sinuosità di curve arabeggianti così come nei profili rettilinei di angolazioni ardite. L'architettura nella potenza dei materiali, nell'autorevole immobilismo si fa entità vibrante, memoria di antichi trascorsi che ritornano pregnanti e, come nel concetto kantiano di sublime dinamico, l'uomo di fronte ad essa prende coscienza del limite. Audaci prospettive rendono infinita la grandezza di certi edifici di fronte ai quali, proprio per la vasta spazialità suggerit, la mente è indotta a riconoscere la presenza di una realtà sovrasensibile: l'umanissima sensazione di piccolezza dinanzi alla vastità. Un fascino già esercitato dalle imponenti rovine di un grande passato nelle incisioni di Giovan Battista Piranesi, dove particolari di maestose architetture vengono isolati e talvolta ingigantiti, proprio come le angolature della Taddei, invadendo lo spazio interiore dell'uomo. Al contempo, però, l'immensità si fa qui perno di nuova riflessione e pone moderni interrogativi: la seduzione del sublime è esercitata non dalla natura ma da "creature" dell'uomo contemporaneo. In "Curva Ruvida", in "Tensione dinamica" e "Spazio della Memoria", è la nascosta presenza umana che suggerisce quelle forme: egli ne è non solo ingegnoso architetto, ma ne viene inavvertitamente inglobato. Può non esserci fisicamente, ma lo è concettualmente con la forza delle idee. Ancor più la centralità umana diventa pesantemente "fisica" in "Tensione dinamica. Ascesa" dove il centro nevralgico della visione si concretizza proprio nell'intervento dell'uomo: l'attenzione si catalizza sul drappo scarlatto che sfila in moto ascensionale sulla storia già esistente.

Recensione critica a cura di Annamaria Izzo