Jimmy Rivoltella

critical artist

CARICHIAMO LA RIVOLTELLA


Rivoltella racconta la sua storia nelle contraddizioni del tempo.
Reclama la libertà di vita e di memoria.
Indaga nell’inconscio come momento liberatorio. Lancia messaggi inquieti consapevole della parzialità del suo essere e del suo sentire.
Il relativo della sua arte è una tessera del grande mosaico della emozione, della rabbia, del furore delle urgenze che girano intorno.
Le sue certezze vivono la precarietà di un assoluto irraggiungibile e la consapevolezza del relativo artificiale che lo assedia.
Vive di paradigmi, di trasposizioni virtuali di orizzonti dimenticati, di assenze programmate di presenze ingombranti tra immagini negate e apparenza delle cose.
Nelle stanze della memoria le tracce sono indelebili e certe, rappresentano il lungo viaggio verso le origini anche se, a volte, la messa a punto dell’inconscio accorda nuove sintonie e collassi del passato, determina carature di insondabile e misterioso, destruttura l’emozione nell’improbabile dell’immaginario, dimentica l’icona certa e riconoscibile per nuovi codici di comunicazione.
Rivoltella decongestiona l’arte dall’assunto dell’immagine e la centralità della figura.
Da una parte corpi e volti condensano e accerchiano interrogativi permanenti ed universali dell’uomo, sbloccano paesaggi dell’anima percorsi da tattili inquietudini, un universo “altro” vissuto e sentito come parabola, indagine, pretesto feticcio, provocazione, racconto, paradosso; dall’altro risica all’osso la materia, lievita verso straniti algidi brividi di tensione, verso stanze di compensazione, mimetiche e circostanziate.
Vuole raggiungere l’altrove senza volere andare oltre.
Emerge chiaramente il dolore e la consapevolezza della sconfitta dell’artista, che fa del suo tempo il momento stabile della nuova incertezza tutta sospesa tra l’enigma e la soluzione, che non propone felicità ma disagio.
E forse paure da risolvere dentro.


Formazione




NEVROVITAMINA GRANULARE G. 100
A cura di Barbara CHIARA


Palleggiando con una lattina di colore gialloblu di nevrovitamina granulare per le schizofrenie infantili mi sovviene alla mente una storiella propedeutica all’opera di Jimmy Rivoltella.
“Ho una piccola collezione di porcellane cinesi. Da collezionista economicamente insignificante, ma attento a tutto ciò che per questo motivo non posso avere, tengo d’occhio tutti gli avvenimenti legati a questa nicchia un po’ fanatica di collezionismo, e so che tra qualche giorno, ad Amsterdam, verrà battuto all’asta l’intero carico di porcellane, destinate al mercato europeo, contenuto nella stiva di una nave naufragata non lontano dalle coste del Vietnam nel 1725. La nave è affondata in seguito a un incendio e quasi duecento anni in fondo al mare non hanno, paradossalmente, prodotto danni significativi a quelle migliaia di pezzi - tazze, tazzine, piattini…- quasi tutti uguali, grazie all’immarcescibile qualità che rende la porcellana il materiale più vicino all’eternità tra quelli prodotti dall’uomo. Nel vastissimo - e noioso - catalogo che accompagna l’asta (si tratta di ben settantaseimila pezzi!), solo alcuni esemplari mostrano di essere stati “toccati” dagli avvenimenti e dal tempo: sono quelli più vicini all’incendio, che si sono fusi insieme, creando forme quasi organiche, e quelli strutturalmente più fragili, decorati “a freddo”, attaccati dalle madrepore che hanno “mangiato” gli smalti colorati superficiali, riducendo a fantasmi le decorazioni vivaci ideate per le tavole rococò europee. Da collezionista non li vorrei, ma da critico penso che quelli, e solo quelli, portino con sé la memoria di quel che è accaduto; solo quelli hanno “reagito” alla storia, pur nella loro passività di materia, e ci raccontano, come possono, del fatto che ha loro stravolto l’esistenza - l’incendio, il naufragio, la nuova vita sottomarina…- rendendoli così “unici” in mezzo alla perfezione standardizzata degli altri”.
E Rivoltella, in tutto ciò?...
Le sue opere, di fatto, assomigliano a quelle incrostazioni, a quella “vita delle cose” che emerge alla superficie dello sguardo e della coscienza solo quando intervengono fatti che spostano la nostra percezione dal consueto all’inaspettato.
La storia dell’arte è piena di tali esempi, ma la capacità per così dire “ricettiva” della cose del mondo è enorme nell’infinita casistica dell’“inaspettato”. Inaspettati sono gli accostamenti cartacei e fotografici, ma anche gli oggetti trovati - i ready made - sono inaspettati nella nuova definizione verbale che si dà di loro, così come inaspettata è la bellezza degli umili frammenti di oggetti consunti che Schwitters accostava con tanta maestria. Se dovessi paragonare Rivoltella a qualcuno, paragonando naturalmente non tanto l’esito finale, la somiglianza dell’opera, ma l’attitudine dell’artista a dare nuova vita alle cose, forse è il nome di Schwitters quello più adatto ma, liberatici una buona volta della necessità di accostare il nuovissimo al nuovo, l’oggi alle Avanguardie storiche, perché non fare anche i nomi dei New Dada o, meglio ancora, di un Tadeusz Kantor o, di più e più vicino, anzi contemporaneo, di Lawrence Carroll? Tutti questi nomi, tutte le loro opere non sono e non debbono essere l’indice di un’ascendenza né nascosta, né tanto meno “colpevole”: sono semplicemente l’indice di un’attitudine artistica diffusa e tutt’altro che passata. Del resto, chi oggi non si rivolge all’immagine sembra non poter far altro che rivolgersi alle cose, anzi, agli oggetti che popolano sempre di più il nostro orizzonte, sin quasi a farne scomparire la linea…Eppure Rivoltella in questo gioco “bara”, con l’accortezza disarmante e intellettuale insieme di svelare l’artificio, almeno a chi lo vuol vedere.
I suoi oggetti, infatti, sono tutt’altro che “ready made”, sono il frutto dell’elaborazione. Un gioco di prestigio.
Lenta, lentissima, e soprattutto meditata e “guidata”, dallo status di oggetti o di immagini - spesso le sue opere danno la sensazione, solo la sensazione, senza esserlo, cioè, di stratificazioni di pagine illustrate - a quello di memorie.
In questo processo, la sapienza, forse anche la furbizia espressiva di Rivoltella, fa intervenire la pittura (rara) come un fondamentale elemento coagulante, ma che sembra accontentarsi di un ruolo in secondo piano.
In altre parole, i lavori dell’artista fungono da concentrato di storie che, per la natura stessa della forma di questi lavori, appaiono come storie personali, interiori se non proprio intime, di una fanciullezza lontana, quella fanciullezza da giocattolo di legno, piuttosto che da Mazinga. In realtà, nonostante l’apparenza da meravigliosa soffitta della nonna, piena zeppa di sorprese dall’aria vagamente sabauda, che è la casa-studio di Rivoltella, e che costituisce - per chi lo conosce - lo scenario entro cui il prestigiatore, il mago pone lo spettatore nella disposizione d’animo di credere l’incredibile, tutto è il frutto di una scelta ben determinata, quasi letteraria, senz’altro armonica.
Alla base di ogni lavoro c’è una storia, ma non sappiamo esattamente quale, perché essa assume la “forma” di una narrazione, ma di fatto non lo è. La storia sembra affiorare ogni momento, ma non affiora mai. La storia è la nostra. E’ tutte le storie che ci vogliamo mettere dentro, e l’opera è il campo accogliente e per nulla neutro in cui queste si dispiegano e narrano il loro divenire o, meglio, ciò che sono state. Questo è l’artificio di Jimmy, questo il suo modo sorridente di barare al gioco: farci credere di scoprire un segreto altrui, e ritrovarci a narrare una storia nostra.
Per fare questo, Rivoltella mette in scena un tale condensato di efficaci stereotipi visivi e concettuali, tipici della cultura artistica più sedimentata, che risulta praticamente impossibile riuscire a sfuggire alla sua tela (di ragno).
Alcuni esempi: il bianco della carta non è mai bianco, è sempre di quel colore giallino (un tempo lo si sarebbe definito “giallo Isabella” dal colore della biancheria di quella regina così virtuosa da considerare il bagno una tentazione…), che ispira un passaggio di tempo su di esso, una modificazione dovuta al trascorrere delle stagioni; la sensazione che si tratti di un oggetto trovato ( e spesso lo è, ma non è questo ciò che conta…), o di qualcosa utilizzato e riutilizzato più volte, per altri scopi; ogni opera, poi, è fisicamente “spessa”, quasi che si fosse gonfiata a furia di stenderci colla, di fare rappezzi, di creare improbabili imbottiture.
Al contrario di quanto si vede e quindi si crede - perché è questo ciò che ci vuol far credere l’artista, e forse talora ci crede anche lui - in Rivoltella, è la pittura che crea gli oggetti, le immagini, le storie, e non viceversa.


Barbara CHIARA

Tematiche

La vanità è un viaggio indiscreto

Le opere di Jimmy Rivoltella rivelano una realtà osservata attraverso un vetro appannato, una realtà quotidiana che traspare sotto uno strato sottile di materia. Jimmy fa sue le suggestioni scaturite da chi gli sta intorno, dalle loro cose, spesso buttate e le rielabora, le trasforma in una chiave personale, originale e vera, giocando con la materia e con il disegno. Scompone e ricompone, accumula e seleziona accuratamente, in un suo archivio, i ritagli di giornale, pagine di libri, foto di amici, di sconosciuti. Ama che il suo lavoro venga “contaminato” dalla presenza di altri. Vuole che chiunque passi nella sua vita lasci un segno, o un di-segno, che poi riutilizza come materiale fertile, come materia prima del suo fare creativo. Sembra incredibile infatti che le opere di Jimmy, si rivelino così affini alla quotidianità, alla vita di tutti i giorni.
Il procedimento operato è quello del “collage” di natura schwittersiana, ossia della raccolta del frammento vissuto e con valore documentario. Con un fare alchemico il collage diventa pittura, strato per strato, di segni e colori, di materie e pigmenti con l’emozione a fare da collante, il più forte e decisivo. Per dare vita alle sue opere che non possono, inoltre, definirsi semplice pittura, l’artista utilizza un materiale estremamente sensuale al tatto, morbido, liscio, ma al contempo delicato e fragile: oltre a tutto ciò che è riconducibile alla carta e in più la cera, la colla vinilica, smalti sintetici trasparenti. Con una tecnica particolare, Jimmy, piega la materia alle sue esigenze creative trasformandola in una sottile lastra quasi trasparente che cela, in parte, i disegni sottostanti, racchiusi come sottovuoto e protetti quali oggetti preziosi. L’ultimo strato dei quadri è dunque viscoso, malleabile e trasparente, affinché tutto ciò che è stato assiepato dentro si possa sempre scorgere. Il passaggio finale contiene un aspetto quasi sacrale, nella ritualità preparatoria della materia che servirà a coprire pezzi della nostra vita, un rito che si rinnova ogni volta che il lavoro di accumulo e deposito è compiuto. La modalità di riutilizzo del materiale di scarto è quindi essenziale nell’opera di Jimmy, che rielabora così la poetica del Nouveau Réalisme.
L’artista afferma che la casualità ha una certa influenza sul risultato finale. Anche se il materiale è selezionato precedentemente, l’opera nasce da un accostamento casuale che ci rimanda ad una poetica surrealista, ad una scrittura automatica formata da fogli e disegni, insomma alla tecnica del collage, del papier collè e più propriamente del Merzbau di Schwitters. E’ il sentimento, l’irrazionalità che guida infatti Jimmy nel prediligere una foto piuttosto che un’altra, un disegno piuttosto che un adesivo, la cera invece della colla.

Quotazione

UN COLPO DI RIVOLTELLA


“Il tempo non è null’altro che il sistema nervoso
dello spazio:
qualcosa che irradia senza che possiamo vederlo.
Richard Serra


Che dire?Tempo fa un vecchio maestro mi disse che davanti alle cose semplici le spiegazioni ammutoliscono. E così è.
Rivoltella attraverso il suo assemblaggio minimale dà una forma informe a ciò che unisce compiendo allo stesso tempo il doppio gesto di stabilire un instabile equilibrio e insieme sottrarre peso all’opera stessa.
Il suo minimalismo passa attraverso il contrario: il minimalismo dell’opera (carte compresse, incollate, sovrapposte, quasi invisibili,foto, fili, gingilli) per massimalizzare il passato, dare peso al tempo.
Come un orologio privo di lancette, qualcosa eppur si muove. Lo spazio e il tempo si evolvono e si dissolvono allo stesso tempo.
Come diceva Richard Serra davanti alle sue sculture monumentali, Rivoltella, nelle sue “tappezzerie” non cerca di stupire o provocare sensazioni particolari ma cerca solo di dare forma al tempo. Un tempo passato a lui caro a lui legato dentro, incancellabile come in tutti noi. Uno sguardo su ciò che ha scalfito la nostra vita. Un’educazione, un vizio, un difetto. Vita vissuta anche ad occhi chiusi senza vertigini. Ti viene voglia di volare e di fidarti di chi hai a fianco. Forza e coraggio. Vivere senza fiato. Disposti a perdere, a lasciarsi lì.
La sensazione che rimane è quella di provare pensieri mai avuti prima.

Premi

2006
- V° Ed. Premio Città di Alba, Alba (CN), Chiesa di S. Domenico
- Dogliani (CN) Spazio Arte 24;
- Busca (CN) Sala Civica;
- Torino Convitto Umberto I;
Torino Galleria Tirrena
- “La vanità è un’arte complessa”, Dogliani (CN) Spazio Arte 24
- City & Burger, Torino, Via Governolo 7
- Denny’s House, Mykonos (GR)

2007
- Parco Madonna di Celle, Trofarello (TO)
- Dario Cima Arte, Torino, Via Governolo 4
- Libreria Aggradi, Torino, Via San Secondo 68/bis
- Villa Sacro Cuore, Pecetto T.se (TO), Piazza della Parrocchia
- Libreria Massena 28, Torino, via Massena 28
- Alba, Chiesa S. Domenico VI ed.Premio Nazionale Città d'Alba

Bibliografia

I SOLDATINI DI JIMMY

Ai più, magari, le opere di Jimmy tendono ad eliminare qualsiasi significato emozionale. Forse per questo proporsi con lucida e fredda razionalità, quasi come se si volesse fare a meno di opere materiali o durature. Non è così. Jimmy cerca, e ci riesce pienamente, di liberare l'arte dalla schiavitù di una immagine “classica”. L'atteggiamento ha una perfetta corrispondenza con l'umore fortemente ideologizzato del tempo. L'arte si libera da qualsiasi orpello che può legarla al mondo della produzione e al potere e si pone come atto rivoluzionario nella ricerca della sua propria essenza che è allo stesso tempo ricerca della verità attinente all'essere.
L'impostazione teorica di Jimmy coinvolge anche la condizione operativa di se stesso in quanto elemento di un contesto sociale. Il suo impegno si articola così da una parte in un riesame completo della natura dell'arte, al di là dell'apparenza dei suoi prodotti, e dall'altra in un comportamento di chiara opposizione nei confronti del sistema. Questi due aspetti del suo operare sono inoltre inscindibili l'uno dall'altro.
La posizione politica porta Jimmy ad un comportamento ambiguo e contraddittorio nei confronti della produzione artistica: rifiuta il prodotto mercificabile, ma registra in qualche modo la sua azione. Ci dà la sensazione di una possibile illusione, quella di un'arte "senza mercato", o non mercificabile, un'arte quindi pura e senza compromessi.
L’arte di Jimmy rifiuta la distribuzione ma indirettamente vi rientra.
Jimmy rimuove comunque il problema spostando l'accento dalla destinazione ai fattori che generano o costituiscono l'opera. Ciò che conta per lui è la realizzazione di un evento che sia una presa di coscienza di ordine intellettuale, mentale, rispetto a situazioni e problemi di carattere quanto mai vario, politico, sociologico, esistenziale, epistemologico, antropologico, ecc. E nei suoi lavori è palese come sia l'idea a costituire l'opera: egli porta a compimento secondo la tecnica minimal una riduzione della forma ai suoi termini più essenziali in modo da rendere chiara senza inutili distrazioni la relazione matematica in cui gli elementi-segni del lavoro sono posti in connessione dal progetto mentale che li ordina e tale progetto, tale idea è il vero e unico contenuto dell'opera. Quando Jimmy sistema le sue pedine sullo scacchiere è evidente che la forma particolare in cui si è organizzato il lavoro è solo una conseguenza delle relazioni logiche e matematiche sulla base delle quali è stato costruito e che queste sono il vero contenuto dell'opera.
C’è un’equivalenza comunicativa e nello stesso tempo evidenziando nel fatto comunicativo il comune denominatore di ogni possibile veste del soggetto, la sua vera natura e nello stesso tempo la vera natura del lavoro. Lo stesso Kosuth diceva che se la stessa enunciazione di un concetto costituisce visivamente l'opera il significato coincide, tautologicamente, con la sua descrizione, giungendo al massimo di eliminazione del soggettivo e al massimo della verificabilità della correttezza e verità della proposizione.
Jimmy procede nel rifiuto della produzione di opere affidandosi ad un'azione di presenza nel contesto dell'arte. Trasferisce il procedimento di provocazione dell'assenza, della mancanza di qualcosa in un contesto che ne prevede invece la presenza, in opere che esprimono un drammatico senso di vuoto, utile, come egli stesso dice, a "svilire l'oggetto per mettere a fuoco il concetto, dove non c’è l’artista non c’è l’arte", a denaturare cioè l'oggetto togliendogli le caratteristiche specifiche della sua nozione e funzione comune nel tentativo scoperto di aprire le possibilità di riflessione della mente al di là del consueto e della cultura istituzionalizzata.
Questi sono vertici altissimi di sintesi poetica e con istintiva felicità creativa e assoluta coerenza. Jimmy attua una totale presa di coscienza della necessità di recupero dei valori primari dell'esistenza e nello stesso tempo di sottrazione dell'arte al gioco della mercificazione. Evviva le mucche, le coppie obese ed i decoratori di Jimmy!
Evviva i soldatini di Jimmy!