CRITICHE

Acedia, Taedium, Appetito, Desidia
Le summae virtutum e vitiorum di Paolo De Bastiani

Per forza di “cose”, noi siamo. Siamo per forza, e in valore, degli oggetti che acqui-siamo, delle forme che vestiamo, del significante che attribuiamo alla nostra attività noetica. Per forza di segni, siamo. Siamo dentro, e contemporaneamente oltre, l’immagine che ci figuriamo.
Siamo appetito e pietà, pietanza e desiderio. Fuga e fronte di necessità, occorrenze, miserie, storie. Siamo dove l’appagamento si finge, cessa, accetta la sua ineditabilità. La sua ineluttabilità. Siamo per forza di giochi. Erotomatici, erotomimici, erotominimi. Siamo in prevalenza e in assenza. Di pieni, di vuoti, di vacanti presenze. Siamo per forza di ruoli: maschili, femminili, femminili, femminili. Ripetitivi per forza.
Le immagini realizzate da Paolo De Bastiani sono per forza della loro stessa forza immagini-icone. Rappresentazioni di mondi, aspirazioni, afflati che affiorano alla superficie da profondità subliminali. Attraverso tre boe: la donna-duna, il cibo-piatto, la parola-grafismo.
Non è la fotografia. E non è la grafia artistica, in senso canonico, la mappa attraverso cui leggere le opere di Paolo De Bastiani. Piuttosto un pittoralismo espressivo in cui si coniuga etnico e tecnica. Una con-essenza di stili, stilemi e impronte, che portano simultaneamente in uno stesso generico dove. Coinquiline in immagini, parole e pietanze, le tavole di Paolo di De Bastiani sono facili e difficili prove di coabitazioni (più che di coesistenze o convivenze). Prove che abbiamo affrontato tutti. Prima o poi. O contemporaneamente. La coinquilitudine (come condizione formale ed esistenziale mai sufficientemente sondata) scelta da De Bastiani per parlare del rapporto tra donna e cibo e parola fa pensare a una stanza delle torture. Una stanza della sofferenza e dell’insofferenza, della fame e della resistenza alla fame, dell’appetito (vitale, carnale, cardinale), dell’amplesso (con o senza sesso) che incide graficamente e fotograficamente la lastra per provocare la memoria dell’esperienza.
Sogni, ossessioni, relazioni, immagini, poesie, as-saggi permutano queste opere in rappresentazioni, messe in scena del dolore, del lavoro, della chirurgia della quotidianità evocata come assoluta. Bisticci? Peggio: pasticci di vita. Demoni meridiani, tentazioni, fenomenologie del piacere e del colore, le opere di Paolo De Bastiani, grazie alla tecnologia digitale e alla fotografia antirealistica accendono la forma e la dissolvono. Lasciando, per forza di ambigua e in frenabile malizia, traccia di sé.
Emanuela Da Ros