Cronistoria

La mia vita artistica

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2009

Il parterre visivo e compositivo di Elena Diaco Mayer è tutto declinato su materiali, forme e segni che rimandano all’assoluto, agli elementi misterico-sacrali, ai codici di scrittura iniziatici.
L’artista, infatti, ricorre generosamente all’oro come dato cromatico e materiale, quasi a voler ripristinare, pur nell’assenza figurativa, le tavole dei trittici senesi o gli sfondi dorati che pervadono gli spazi di rappresentazione delle opere di Simone Martini, riuscendo mirabilmente a comunicare un senso di grande eleganza bizantina, di incanto cromatico, di sospensione immateriale. E accanto ai preziosi supporti lignei assemblati a mo’ di moderne icone, apparentemente vuote di sostanza narrativa ma in realtà piene di luce e di assoluto, come a completare un percorso di ascesi palingenetica, l’artista realizza il tracciato sacrale di ampi cerchi d’oro o utilizza “oggetti luminosi” – come le conchiglie – e soggetti figurativi – come la montagna – fortemente connotati in senso alchemico ed esoterico.
Per Elena Diaco il cerchio “rappresenta il gesto fatto in assenza dell’io”: solo liberandosi dal proprio ego, si entra infatti in sintonia con il Tutto e si riesce a fare qualcosa, liberi finalmente dal desiderio di raggiungimento di un fine. Disegnare elementi circolari ha quindi una duplice valenza: quello di una catarsi conoscitiva per poter affrontare meglio l’itinerarium mentis in Unum.
Altrove l’artista inserisce nelle sue opere una pitto-scrittura segnica e indecifrabile.
Più che di scrittura alfabetica vera e propria, sarebbe preferibile parlare di materiale grafo-visivo, un linguaggio creativo per immagini impossibile da decrittare ma capace do comunicare messaggi al di là della morfologia dei segni grafici. Osservando il tracciato segnico di questo moderno stile calligrafico, balzano immediati i riferimenti alle iscrizioni decorative presenti sulle pareti delle antiche moschee, che recitano la bismala – ovvero il verso di apertura di tutte le sure del Corano – come anche alle scritture cosiddette di apparato dei manoscritti medievali, greci, latini, contenenti le Sacre Scritture.
E qui il discorso si mescola con l’antropologia religiosa: considerata, infatti, la sacralità del nome di dio, quale che sia, si preferisce adottare, in un contesto librario, una forma grafica consona alla trascrizione dei libri sacri: la scrittura del divino, proprio come la pitto-scrittura segnica di Elena Diaco Mayer e come i geroglifici per gli antichi egizi, ha di per sé un valore sintetico-figurale che contrasta con le scritture usuali della pratica comune, scritture – per loro stessa natura – analitico-descrittive.
Quasi che l’usare il nome e le parole che toccano direttamente le realtà concrete cui esse si riferiscono, possa determinare una sottrazione di Valore o una diminutio di Perfezione.

Angelo Delli Santi

2006

Elena e l'oro

di Guglielmo Gigliotti

Oro, cerchi, monocromi e scritture sono i quattro elementi dell’universo artistico di Elena Diaco. Come l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra, essi si mischiano, trapassano l’un nell’altro, compongono sottouniversi, che poi sono le opere. Quando un linguaggio artistico giunge a maturazione, trova sempre i suoi elementi, le sue “case” in cui l’artista è solito albergare, in cui si trova bene. Elena Diaco si trova bene stendendo monocromie d’oro e d’altri colori, disegnando ampi cerchi, vergando scritture dettate dall’inconscio. Aurificare lo spazio, farlo brillare del più misterioso dei colori e delle essenze, è un imperativo per Elena Diaco. L’oro è una dimensione della fisica dei colori e della psicologia della percezione che rende difficoltosa qualsiasi definizione. E’ presenza ancorata ad assenza, un vicino in cui pulsa un cuore lontano; riluce di sé, di una fonte inesauribile, che tuttavia nessuno ha ancora scovato. Dipingere gli effetti, i potenziali sogni e le giravolte dello spirito che il fenomeno oro sa contenere e far scaturire è un dato artisticamente di ampio rilievo, un gesto che rimanda a ritualità antiche ed essenziali, a tutt’oggi necessarie… Il cerchio è un movimento del polso quando sta in perfetta continuità con il moto del braccio, a sua volta ben saldo alla spalla e, di lì, alle energie tendinee che portano su verso collo e testa, nonché alle tensioni muscolari che sorreggono il busto e danno equilibrio all’ossatura di bacino, gambe, piedi, fino a terra: il cerchio arriva fino a terra.
E’ simbolo celeste di assoluto, ma l’assoluto comprende la terra, o non é. Il cerchio e l’oro: per la mente, per l’occhio, per chi li lavora e per chi li guarda sono presenze di piacevolezza sottile e rarefatta, condizioni quasi estreme del segno e del campo. Soprattutto sono frutto di un lavoro di estrema concentrazione di Elena Diaco, che si “circolizza” disegnando cerchi e “aurifica” il suo stesso guardare stendendo ori. Il lavoro è su carte, tavole e tele, ma avviene in prima istanza su chi lo opera, sull’operaio di se stesso, sull’artista pronto a una propria perenne autotrasformazione, per assomigliare sempre più alle proprie opere, per diventarle. La pitto-scrittura di Elena Diaco è accurata calligrafia, fluido scorrere di minuti grafemi, che increspano superfici come fossero di mare sfiorato da lieve brezza. E’ un racconto infinito che racconta tutti i racconti, frullato di scritture e di pitture, di ori e relativi bagliori, di monocromie e loro silenti poesie… L’arte di Elena Diaco ha lo spessore di un’azione che sgorga dalla contemplazione, è proprio concrezione di contemplazione, se non di religiosa meditazione, quando non c’è più niente, quando c’è solo il niente. L’arte non teme niente, neanche il niente. Il niente non è contro l’arte, non è contro niente. Nell’ultima opera di Elena Diaco, un trittico ad ante è composto da legno di antiche tavolacce intrise di tempo e intemperie, dipinte nel lato interno di oro, solo oro, nient’altro che oro, nient’altro che niente.

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