Albino Ripani: metafisico informale, pittore dell’Es.
"Metafisico informale" fu la prima immediata definizione di Ari che mi venne spontanea nell’osservare da profano, certo non da critico, i suoi quadri. Una contraddizione in termini, si dirà, dato che la pittura metafisica è innanzitutto forma. Una forma che esprime qualcosa che va oltre l'apparenza sensibile e la realtà empirica, e si pone come
rappresentazione distorta di un reale che l’Io rielabora a suo piacimento, o a sua sofferenza, apponendo strutture forse in sé corrette, ma deformanti del senso comune, ed escludenti il soggetto umano, il movimento, il rumore, il tempo. Resta che la forma è comunque sempre presente, e dà limiti e chiarezza al vissuto soggettivo, lo riporta sotto quei canoni percettivi di base che consentono in qualche modo un ritorno ad una comprensione oggettivante. In ARI compare una soggettività che non trova un suo spazio geometrico, né riesce più ad esprimersi in forme percepibili: una metafisica informale, appunto. Il suo è un percorso verso una progressiva rinuncia ai limiti formali che
abitualmente contornano gli oggetti, verso una destrutturazione del reale. E riconosce come unica sostanza, come unica possibilità espressiva di sé, il colore. ARI esprime con il suo tratto, semplice e spontaneo solo in apparenza, in realtà frutto di un lungo e sofferto conflitto con una realtà vissuta come ingombrante e limitante, un universo in
continua espansione verso una totale assenza di oggetti e forme. Tra i suoi colori, il rosso innanzitutto (in musica lo chiameremmo la nota dominante), prevale, stimola, esprime vitalità, ed altri, meno definiti, a contrasto e completamento, in un’opera che supera il tratto pittorico e diventa una filosofia della natura che rinuncia ai concetti, e si nutre solo di colori. Anzi no, non solo di colori, non sempre. Si scorge a volte una parvenza di volto umano, un vago
profilo che richiama quello dell’artista, forse una autorappresentazione inconsapevole, come un vagare tra i colori stessi alla ricerca di un’identità, di una forma.
La seconda definizione che diedi dell’artista, "pittore dell’Es", richiede un breve accenno alla teoria freudiana delle pulsioni e della mente umana. L’Es freudiano, termine tedesco corrispondente al latino id ("ciò", "esso") è la parte più profonda, più antica, più irrazionale della mente: il nesso tra natura umana e natura animale. Il serbatoio delle pulsioni, nelle parole dello stesso Freud: in altre parole, la forza della natura. L’opera dell’artista è dominata dalle pulsioni. Dalla profondità dell’Es ARI sembra far emergere dirompenti ed incontrollati torrenti di lava multicolore, che invadono la percezione dell’osservatore e dapprima la disorientano, poi la avvincono.
Le pulsioni sono però quell’aspetto del comportamento umano che l’Io, la parte più evoluta e razionale della mente, deve imparare a controllare, a dirigere verso giuste mete, a sublimare. Ed in effetti, nelle opere più recenti troviamo una svolta essenziale, che rivela un cambiamento dello stato mentale dell’artista: il prevalere del blu, in tutte le sue tonalità. Il blu si fa condizione dello spirito, così come il rosso si faceva condizione della natura, e suggerisce un
acquietamento delle pulsioni, un orientarsi verso espressioni più sublimate, forse meno vigorose, non per questo
meno vitali. Una vitalità più serena, meno vincolata al bisogno, alla necessità impellente dell’Es. Un emergere dal furore dei sensi, dall’ingorgo delle passioni, dai profumi espressi ed impressi nei colori, ed un collocarsi in alto, tra cirri e nembi, tra vortici e venti freddi. Senza mai desistere dalla ostinata idiosincrasia per gli oggetti, senza mai chiudersi nella prigione della forma.
Sandro Marano
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