PITTURA E MUSICA
Questo mio discorso, lungo per necessità, non serve per i buongustai delle più svariate forme di arte oggi presenti sul mercato, bensì per le molte persone che, amando la pittura tradizionale, sono riluttanti ad
accettare qualsiasi genere di astrattismo. Essendo poi io un pittore che non si scosta dalla realtà,
giustificherò la mia ammirazione per la pittura informale di ARi per non sembrare falso, adulatore o matto;
troverò persino le affinità tra i miei intendimenti e quelli dell’Artista di cui parlo.
I dipinti di Albino Ripani di questo ultimo periodo, concepiti dopo un appassionata, instancabile ricerca, sono paragonabili a composizioni musicali che facciano percepire l?insieme poderoso di un enorme
numero di strumenti. Se è vero che a ciascun colore corrisponde un determinato timbro sonoro, si tratta di migliaia di violini, violoncelli, corni, flauti, arpe, clarinetti,oboe, trombe e fagotti, tutti accordati alla
perfezione,che suonano valanghe di motivi stupendi, ritmati in una infinità di leggiadri arabeschi, tutti
diversi ed inimitabili e dove le leggi dell’armonia e del contrappunto vengono rispettate come facevano Bach, Beethoven, Chopin, Schumann, Brahms e Debussy. Tempo addietro in una trasmissione televisiva di cui purtroppo perdetti l’inizio, Yehudy Menuhin ricapitolava,penso, un discorso fatto precedentemente con Glen Guld e diceva di essere d’accordo con lui sul fatto che le musiche dodecafoniche e
rivoluzionarie di Schomberg e di Britten possono rassomigliare, per la loro stranezza, a componimenti
poetici scissi però in sillabe in ordine diverso per essere ascoltati e mentalmente ricostruiti da chi ne
conosca il senso. Intanto constatiamo che anche la musica, di per se stessa alquanto astratta, potrebbe avere ancora un risvolto informale. Ma, senza tener conto di questa bizzarria, debbo dichiarare che la
pittura informale di ARi non ha niente da spartire con certe bambinesche idiozie che si vedono in
innumerevoli, stomachevoli occasioni ma è musica pura. Non è il caso quindi di sforzarsi a voler scorgere nei grovigli cromatici di queste opere una testa, magari di leone o di cavallo, una faina,una orchidea, un drago oppure un angelo che vola. Ed ecco perché: nella musica le figurazioni sono i sentimenti e i moti dell’animo. Quest’arte sublime può dunque significare immagini e pensieri ben traducibili in parole sulle quali gli intenditori siano d’accordo; ma avendo le parole dimensioni di tempo assai diverso da quello
delle note musicali e dei loro gruppi che esprimono lo stesso concetto, non sono a questo sovrapponibili.
Evidentemente non basta che nella musica e nella poesia esistano elementi comuni come il ritmo, l’accento, l’altezza del suono o della voce. Similmente i dipinti del nostro disdegnano gli oggetti (che
corrispondono alle parole nella musica) e non possono e non debbono rappresentare altro che i loro
colori così come amano combinarsi nello spazio e nella luce secondo ferree ed intricate leggi di armonia; intricate perché anche il semplice ritocco di una sola tinta o l’aggiunta di una qualsiasi bazzecola
riuscirebbero difficilissimi se non impossibili in un quadro di ARi. Se ci provassimo magari nel punto di
esso che meno ci soddisfa, salterebbe subito all’occhio qualcosa come un rammento fatto col cotone o
addirittura con lo spago su di un drappo di seta. Ma c’è dell’altro (ecco l’aggancio dei motivi presenti nella mia concezione di pittore figurativo con l’arte di ARi) e cioè: la prerogativa, anzi la virtù, delle cose che, sebbene compiute e valide nella loro interezza, possono scindersi e generare nuovi sistemi anch’essi completi e autonomi a somiglianza di quelli che li hanno generati, è privilegio della natura con la sua
energia operante nell’universo.
Il sistema e quello somigliantissimo ma infinitamente piccolo dell’atomo con i suoi elettroni sono un
esempio chiaro e convincente.
Una certa pittura può ripetere e simboleggiare questo meraviglioso principio quando miriadi di svariate tinte che raffigurano un tutto compatto, possono, direi quasi scoppiettando, rilevare all’occhio dell’osservatore che si indugiasse sui particolari più minuti, immagini ed elementi nuovi mai notati prima. Infatti i dipinti di
ARi, simili a galassie policrome, fanno spaziare la fantasia nell’infinito. Un piccolo dettaglio osservando da vicino o, meglio, con una normale lente d’ingrandimento (attenti che questo strumento da ai nervi a
qualcuno) può stare a sé e farci gustare una nuova figurazione che arricchisce l’insieme e non gli reca
molestia così come l’atomo non disturba il sistema solare. Questo pregio non l’ha, ad esempio, la
quadricromia, pur bella e utile invenzione, qui i corpi, gli oggetti (rappresentati talvolta in maniera anche più bella e colorita dell’originale) sono ben visibili ad occhio nudo ma, se si volesse scoprire qualcosa d’altro
adoperando stavolta la famosa lente-contafili dei drappieri (facciamolo di soppiatto per la ragione detta
prima) vedremo soltanto delle insignificanti e incomprensibili scacchiere oppure dei “favi” esagonali (dipende dal reticolo usato) con i quattro colori: giallo, rosso, azzurro e nero più il bianco della carta, qua e là variati dalle loro sovrapposizioni. Circa gli effetti dell’Arte in generale sulla psiche o sulla personalità
umana non starò a tediare con concetti che ormai sono di pubblico dominio. Per ciò che riguarda invece gli effetti della pittura di ARi dirò che, essendoci dentro l’euritmia e l misura, la sua utilità pratica è di essere medicamentosa e curativa. Molti malanni sono causati da disfunzioni o disarmonie nel senso più largo della parola. Un piccolo esempio scherzoso, si, ma significante perché vero: insegnavo al corso di pittura
decorativa presso l’ITI di Fermo quando il compianto Arch. Gramolino, pur essendo un mio estimatore, non poté fare a meno di dirmi un giorno, da persona sincera, che i “conci” di un bugnato che avevo fatto ad un palazzotto gli facevano venire il mal di pancia! Ci credo. Eppure l’effetto materico e luminoso “in positivo” del gesso sulla lavagna era, molestia a parte, splendido. Ci saranno però state, senz’altro, delle supposizioni sicuramente strutturali e architettoniche. Le stonature e le “boiate” non possono far male a chi le capisce e le vede. Al contrario bisognerà ammettere che l’euritmia e le cose fatte bene giovano e alimentano lo spirito. A me, pittore classico la pittura di ARi, pulita e vaghissima da vicino e da lontano, alimenta lo spirito.
“Chi ascolterà e capirà la mia musica” sono parole di Beethoven “non dovrà più trascinarsi nella infelicità e nella miseria come il resto degli uomini”. Purtroppo l’ascolto spesso obbligato quindi involontario (macchine che passano con l’autoradio a tutto volume, il giradischi o il televisore del vicino ecc.) l’ascolto, dicevo, di taluna chiamandola pure musica simile però ad un guazzabuglio eseguito da gente che rivela negli
strumenti capacità da principianti anche se principianti non sono, può costituire un vero tormento per l’orecchio delicato dell’intenditore vero ma è ancora più triste constatare che ai patiti (quelli cioè che vanno in sollucchero per le contrazioni ventrali, le grattate isteriche sulle povere chitarre, l’immancabile,
sempiterno “dummeddumme” del batterista che spesso ama apparire il più giulivo di tutto il complesso o… forse lo è veramente perché “mena” e con ambo le mani e un piede pure) questa Babele non fa nemmeno bene e a lungo andare i risultati si vedono… non aggiungo altro limitandomi a fare osservare che, pur senza le luci psichedeliche, un gustatore dei soliti Bach, BEETHOVEN e compagnia (scusate se ce l’ho sempre con loro) non potrà mai diventare un drogato, ci scommetterei.
Per chiudere sarò io a ringraziare di vero cuore l’amico Albino perché la vista delle sue opere mi fa venire voglia di usare più spesso colori tersi e vivaci. E’ quanto mi propongo nei prossimi dipinti di dimensioni,
però, maggiori da esporre in una mostra che ARi desidererebbe fare insieme con me.
Giuseppe Pende [Professore, pittore, scultore,.....]
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