Ho avuto modo di confrontarmi con la forma espressiva del disegno grazie alla scuola. Fin dall’infanzia il mio rapporto col disegno è sempre stato di tipo esplorativo. Non ho mai avuto una grande dote, ho sempre invidiato quei bambini che con due colpi di matita, riuscivano a fare un disegno bellissimo. I miei venivano sempre sproporzionati e pieni di difetti.
Ostinato e determinato, fin dalla giovane età, riuscivo a sopperire alle mie doti carenti grazie alla mia sfrenata fantasia e all’allenamento. Se un disegno non mi veniva, passavo ore ed ore a rifarlo, fino a quando non riuscivo a farlo come volevo io.
La mia forma espressiva preferita era comunque l’intaglio di oggetti in legno. In questa disciplina ero sicuramente dotato. Giravo sempre con un piccolo coltellino in tasca, e intagliavo qualsiasi pezzo di legno mi ispirasse. Ovunque trovassi un pezzo di legno interessante, lo prendevo e se non riuscivo a intagliarlo subito, lo mettevo da parte per scolpirlo successivamente. Ancora oggi ne porto i segni; sulle mie mani sono ancora visibili alcune delle numerose cicatrici di ferite che mi provocavo ogni volta che il coltellino mi scappava. Sono affezionato a quelle cicatrici, guardandole mi viene ancora in mente il momento ed il luogo in cui me le sono fatte. Ad esempio un vistosa cicatrice che ho all’attaccatura del dito indice sinistro ricordo di essermela fatta da piccolo. Avevo forse cinque o sei anni ed ero in Sicilia di fronte alla casa della mia nonna paterna, stavo intagliando un pezzo di legno, quando il coltello, in quel caso un coltello da cucina, mi scappò.
Intagliavo di tutto, ma le statuette che scolpivo erano tutte di piccole dimensioni, non potevo lavorare grandi pezzi di legno con un coltellino. Ricordo che per un certo periodo ho realizzato solo canoe di legno. Successivamente, essendomi attrezzato con martello e scalpelli, ho realizzato delle vere e proprie statuette.
L’incontro con la pittura a olio, avvenne intorno ai 24 anni, quando una sera a casa del mio amico Giorgio, trovai un cavalletto e tutto il necessario per dipingere un quadro. La sua ragazza del momento lavorava nel mondo dell’arte e lo spingeva verso la pittura.
Spinto dalla mia irrefrenabile curiosità verso tutto quello che non conoscevo o che non sapevo fare, decisi di mettere alla prova le mie capacità e chiesi al mio amico il permesso di provare a dipingere un quadro. Giorgio, che mi conosceva ormai da oltre dieci anni ed aveva imparato ad assecondare tutte le mie stravaganze, anche quella volta non mi deluse. Fu così che alla fine della serata avevo dipinto il mio primo quadro ad olio su carta. Sia soggetto che esecuzione erano decisamente infantili. Non rimasi particolarmente soddisfatto, anche se tutto sommato come prima prova pensai che non fosse male. Trovai quella tecnica difficile, forse questo era il motivo per cui non ero riuscito a tirare fuori tutto quello che volevo in quel disegno. Con la solita ostinazione che accompagna tutto quello che faccio, pensai che comunque valeva la pena di approfondire l’argomento.
Un giorno fuori dall’università, sulla bancarella di un venditore ambulante, trovai un set di colori a olio e dei pennelli. Decisi di riprovarci e li comprai.
Cominciò per me un periodo molto intenso durante il quale, quadro dopo quadro, andavo scoprendo i segreti della tecnica della pittura a olio. I risultati non erano sicuramente dei capolavori. Coltivavo in contemporanea anche la mia passione per la scultura, ed era solo da quest’ultima che arrivavano le soddisfazioni maggiori. Non capivo come mai non riuscissi a far venire fuori le mie sensazioni su quelle tele. Ricordo che un giorno, forse preso da una sorta di “frustrazione”, presi una tela e iniziai a dipingerla senza un’idea, dando semplicemente delle pennellate di colore, quasi a sfogare la mia insoddisfazione; forse una sfida. Alla fine il risultato fu inaspettato; non era sicuramente quello che avrei voluto dipingere, non era il frutto della tecnica fine che andavo cercando, ma quello che vedevo comunque mi appagava. Come una sorta di premio di consolazione. Intitolai quel quadro “lo sfogo”.
Chi ha avuto modo di conoscermi sa molto bene che sono una persona dai molti pregi, ma che sicuramente non manca di difetti. Testardo, ostinato, con una buona dose di egocentrismo e sicuramente molto poco modesto; ho continuato a dipingere fino a quando un giorno, al termine dell’ennesimo quadro, guardandolo, ho provato quella sensazione di “stupore” che accompagna i miei traguardi importanti. Il quadro si intitola “cruccio per l’impossibile” e fa parte della collezione di mie opere che arredano la casa di mio fratello.
Finalmente avevo raggiunto quel livello minimo che mi consentiva di comunicare le mie “esigenze”.
Per la prima volta, riuscivo a vedere il messaggio che avevo voluto comunicare. Forse il quadro non era esattamente come l’avevo in mente, ma sicuramente era diverso da tutti i tentativi che avevo fatto fino a quel momento.