Sebastião Salgado

Certamente, se le mie fotografie arrivano ad essere esposte in un museo, vuol dire che hanno anche un valore estetico che le contraddistingue, ma non voglio assolutamente che queste siano lette come delle opere d’arte. Infatti, non nascono per essere oggetto d’arte, ma come un insieme di immagini per informare, per provocare discussioni, dibattiti. Sono prima di tutto un giornalista e un fotoreporter”.

Sebastiao Salgado(Aimorès, 8 febbraio 1944) è un fotografo brasiliano che, attualmente, vive a Parigi considerato il
più grande fotografo a livello mondiale dei nostri tempi.
L’Africa è un posto molto particolare, magico e seducente.La culla del genere umano, nonostante il progresso che nei millenni ha coinvolto il resto del pianeta, è riuscita a conservare i suoi colori e la sua musica, ma anche la sua crudezza, la sua sofferenza e le sue contraddizioni.Succede così che un posato economista e statistico brasiliano si innamori a tal punto di questa terra baciata dal Sole da mollare tutto, per imbracciare una fotocamera e sposare la causa africana.

Sì, perché Sebastiao Salgado decide di diventare fotografo proprio all’indomani di uno dei suoi viaggi in Africa, commissionatogli dalla banca di investimento parigina per la quale lavorava.
Il preambolo è necessario per spiegare il doppio filo che legherà Salgado all’Africa ma più in generale ai paesi del terzo mondo e per comprendere la sofferenza che lo accompagnerà, durante tutta la sua lunga carriera.
Sebastiao Salgado decide di diventare un fotografo esattamente nel 1973. Per quasi trent’anni, gira il mondo con in mano la sua fotocamera da 35 mm (prima Leica, poi Pentax e infine, con l’avvento del digitale, una Canon 1Ds Mark III), realizzando reportage in tutti i cinque continenti, ma focalizzando la sua attenzione prettamente sull’America Latina e sull’Africa.
Nel 1973 realizza un reportage sulla siccità del Sahel seguito da uno sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa. Nel 1974 entra nell'agenzia Sygma e documenta la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angolae in Mozambico. Nel 1975 entra a far parte dell'agenzia Gamma ed in seguito, nel 1979, della celebre cooperativa di fotografi Magnum Photos. Nel 1994 lascia la Magnum per creare, insieme a Lelia Wanick Salgado, Amazonas Images, una struttura autonoma completamente dedicata al suo lavoro. Salgado si occupa soprattutto di reportage a sfondo umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.
Le sue opere si ispirano a quelle dei maestri europei, filtrate però dall’eredità culturale sudamericana
Grazie alla profonda sensibilità umana e artistica del fotografo, i reportage da lui firmati fanno il giro del mondo e le sue pubblicazioni riscuotono un successo planetario.
“In Ruanda vidi la brutalità totale.Vidi persone morire a migliaia ogni giorno e persi la fiducia nella nostra specie. Non credevo che fosse più possibile per noi vivere. Fu a quel punto che mi ammalai”.
E si ammala a tal punto che i medici gli consigliano di abbandonare la fotografia.

Allora torna nella terra natìa brasiliana e lì, spinto ancora dall’amore verso il pianeta, intraprende il folle tentativo di riforestare tutta la regione in cui aveva vissuto fino alla sua adolescenza. Meno di dieci anni dopo, oltre due milioni e mezzo di nuovi alberi avevano ricoperto chilometri quadrati di deserto.
L’impresa gli fa tornare la voglia di vivere e di fotografare.
È questo il momento in cui cambia anche la sua fotografia, non più incentrata sulla denuncia della sofferenza umana, bensì sulla descrizione delle bellezze della natura.
“Fino ad allora, l’unico animale che avevo fotografato era stato l’uomo: era arrivato il momento di immortalare tutti gli altri animali. Volevo fotografare panorami ma anche lo stesso uomo in ciò che era all’origine, cioè immerso nella natura”.
Coraggio, etica, denuncia sociale e sensibilità, condite da uno stile fotografico eccezionale:
Sebastiao Salgado è certamente uno dei fotografi contemporanei più influenti dei nostri tempi e le sue parole e le sue immagini ci offrono alcuni importanti insegnamenti.

Racconta in bianco e nero
“Quando ho iniziato a fotografare, i colori erano molto saturi. C’era il rischio che prendessero il sopravvento sui soggetti che volevo mostrare, sulla dignità delle persone, sui sentimenti, sulla storia. La bellezza dei colori rischiava di cancellare tutto il resto”. Salgado interpreta la presenza del colore, nelle foto, come un elemento di disturbo.
“Nelle fotografie a colori c’è già tutto. Una foto in bianco e nero invece è come un’illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda, deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola a poco a poco. C’è quindi un’interazione molto forte tra l’immagine e chi la guarda. La foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una foto a colori, che è un prodotto praticamente finito”.
Salgado ci dà implicitamente un suggerimento: se vogliamo raccontare una storia ed entrare in simbiosi con chi guarda le nostre fotografie, l’uso del bianco e nero può essere uno stratagemma molto utile. Da un punto di vista della resa fotografica, però, è importante che la fotografia venga “pensata” in bianco e nero già nel momento dello scatto.
Inoltre bisogna cercare di comprendere, nella composizione, grandi aree bianche (come il cielo) o grandi aree scure (come i prati), altrimenti ci si ritrova con un’immagine finale molto sbilanciata nei toni.
Infine, bisogna sfruttare la massimo gli effetti della luce e delle relative ombre, prediligendo una luce radente. La luce “piatta” spesso dà vita a delle ampie zone di grigio, difficilmente correggibili anche in post produzione.

Impara ad avere pazienza
“Chi non ama aspettare, non può diventare un fotografo”:è una frase che Sebastiao Salgado scrive in un suo libro, riferendosi alla sua impresa di riuscire a fotografare una tartaruga gigante alle Galapagos. Inizialmente, ogni volta che lui si avvicinava, la tartaruga scappava, rendendo difficile la giusta inquadratura.
Alla fine capì che sbagliava l’approccio: “Mi sono accovacciato e ho camminato alla sua stessa altezza, con le mani e le ginocchia per terra. Da quel momento la tartaruga non è più fuggita…Così ho potuto iniziare a fotografarla. Mi ci è voluta una giornata intera per avvicinare la tartaruga. Tutta una giornata per farle capire che rispettavo il suo territorio”.
Poi spiega: “Spesso si dice che i fotografi siano cacciatori di immagini. Nella maggior parte dei casi non si hanno i mezzi per accelerare gli avvenimenti. Bisogna quindi saper assaporare la pazienza”.

Se sei appassionato di street photography, o di reportage in generale, devi mettere in conto che la fretta è cattiva consigliera e portatrice di cattivi scatti. Nella fotografia di reportage, al contrario degli altri tipi di fotografia come quella di paesaggio, gli eventi cambiano e si evolvono rapidamente, perché i soggetti che compongono la scena sono in continuo movimento.
Così come Salgado faceva con la tartaruga, muoviti intorno alla scena, cambia l’angolazione e varia il tuo punto di vista. Avere la pazienza di aspettare l’evolversi di una situazione, svilupperà anche il tuo intuito nel tempo, facendoti capire in anticipo le eventuali potenzialità di una scena.

Valuta la forza dei tuoi soggetti
“Secondo me una fotografia è riuscita quando riesce a riprodurre e a trasmettere le emozioni che ho provato mentre scattavo. Naturalmente esistono molti diversi tipi di foto e diverse intenzioni fotografiche. Io appartengo alla famiglia di quei fotografi che vanno verso gli altri, verso il mondo. I fotografi che cercano di cogliere le emozioni e l’istantaneità del reale. Per me fotografare è un’avventura e una scoperta. Ma ci sono molte cose che una foto non riesce a trasmettere. Ad esempio certi paesaggi grandiosi. Quando mi rendo conto che non riesco a cogliere quello che vorrei, allora lascio la macchina fotografica e mi limito a guardare, a vivere”.
Molte volte, uscendo a fotografare, ci troviamo davanti a paesaggi meravigliosi. Siamo lì con la nostra fotocamera e ci sentiamo fortunati, perché siamo convinti che otteremo degli scatti fantastici. Salvo poi rimanere delusi, una volta tornati a casa, quando scopriamo che la nostro foto corrisponde solo in minima parte allo spettacolo della natura a cui abbiamo assistito.
Devi partire dal presupposto che la fotografia è in grado di riprodurre solo uno dei tuoi sensi, ossia la vista. Ormai è istintivo ma, quando veniamo presi dall’emozione derivante da uno spettacolo della natura, tutti i cinque sensi concorrono ad emozionarci.
A questo, aggiungi il fatto che il tuo occhio è una fotocamera eccezionale, molto più avanzata di qualsiasi reflex in commercio, perché ti permette di avere un angolo di visione molto esteso, senza nessun tipo di distorsione.
Una buona alternativa può essere quella di concentrarsi soltanto su alcuni aspetti della scena, magari enfatizzando un particolare che è immerso nel contesto.

Sfrutta la tua formazione
Sebastiao Salgado si avvicina tardi alla fotografia, ovvero alla soglia dei 30 anni, dopo aver completato i suoi studi di economia. Nonostante ciò, il fotografo brasiliano considera quegli anni importantissimi anche per la sua formazione fotografica.
A volte la passione per la fotografia nasce fin da giovanissimi mentre, molto più spesso, è qualcosa che sboccia definitivamente quando si è più grandi. Come spiega Salgado, però, quel che abbiamo appreso nella nostra vita non solo può tornarci utile per i nostri scatti, ma addirittura può essere la discriminante che caratterizza il nostro stile fotografico.
Cerca di trarre vantaggio dalla tua formazione, cercando di afferrare particolari che tutti gli altri non possono cogliere. Conoscere perfettamente un determinato campo, può avvantaggiarti sia nelle scelte dei soggetti, sia da un punto di vista tecnico che emotivo.

Progetta a lungo termine
Quel che più caratterizza la produzione di Salgado, è la progettualità a lungo termine.
“Other Americas”, per l’agenzia Magnum, dura 7 anni (1977-1984); per 18 mesi (1984-1986) lavora ad un progetto documentaristico sul problema della carestia in Africa; dal 1986 al 1992 viaggia attraverso 23 paesi differenti, per un progetto fotografico basato sulla fine della manodopera industriale su larga scala; dal 1993 al 1999 si occupa del tema delle migrazioni umane. Il suo progetto più monumentale però è “Genesi”, durato ben dieci anni (2003-2013) in cui racconta il nostro patrimonio più prezioso: il pianeta.
“Mi piace molto lavorare su progetti a lungo termine. C’è più tempo per il fotografo e le persone che sono di fronte alla fotocamera per capirsi. C’è il tempo per andare in un posto e capire cosa sta accadendo lì. Quando spendi più tempo su un progetto, impari a comprendere i tuoi soggetti. Arriva un momento in cui non sei più tu che stai fotografando. Qualcosa di speciale accade tra il fotografo e la gente che sta fotografando: il fotografo si rende conto che sono le persone a dargli la fotografia”.
Un progetto fotografico di alto livello, non può essere realizzato in fretta e superficialmente. Ammirando le fotografie di Sebastiao Salgado, quello che più di tutto salta agli occhi è la straordinaria carica emotiva dei suoi soggetti, sia che si tratti di persone, sia che si tratti di animali. Ogni volta si ha la sensazione di vivere le sue stesse emozioni, oltre alla sofferenza, l’angoscia e la speranza dei suoi soggetti: sono foto con un’anima.
Dopo aver capito il tema che vuoi affrontare, pianifica le tue uscite e i tuoi viaggi, senza farti prendere dalla frenesia di concludere il progetto. Ma, più di ogni altra cosa, chiediti se il progetto che vuoi affrontare ti emoziona davvero.

A cura di Emanuele Davi