Gianni Berengo Gardin

Gianni Berengo Gardin

E' un fotografo nato nel 1930 a Santa Margherita Ligure (Genova) in una famiglia benestante .
Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare sceglie per mantenersi lavori come il cameriere ed il bagnino e dirigendo il suo occhio fotografico verso la gente comune: gli emarginati, i lavoratori, i matti nei manicomi e gli zingari.
Diciamo che la scelta dei suoi soggetti non è proprio scontata, sembra quasi voler portare la sua attenzione in una direzione culturalmente opposta a quella che ci si aspetterebbe dall’ambito di provenienza. Sarebbe stato più facile spingersi verso una fotografia più artistica , più simile alla pittura.
La sua carriera inizia a Venezia negli anni ’50 quando cercando di fare il giornalista ha l’esigenza di immagini che accompagnino i suoi articoli

La sua formazione però, come racconta lui stesso, ha un punto di svolta quando suo zio in America lo mette in contatto con Cornell Capa appartenente ai fotografi del gruppo Magnum e fratello di Robert Capa. Sulla scia del fratello, Cornell Capa ha avuto per trent'anni una carriera come fotogiornalista, prima nello staff di Life poi come membro di Magnum Photos. . Capa gli fa avere alcuni alcuni libri di fotografia da cui capisce che la fotografia che vuole fare è quella dei grandi fotografi di Life o della Magnum.
Da qui in poi decide che la sua fotografia deve essere quella che racconta la società, non con gli occhi dell’artista ma con quelli dell’artigiano convinto che l’impegno sociale sia ancora un valore. Poi, per puro caso, facendo vedere alcune sue foto ad un conoscente in un bar, incontra un editore che lo introduce al fotogiornalismo.

In questo modo inizia una carriera lunga 60 anni, fatta di reportage per la carta patinata e dalla realizzazione di lavori personali con fini sociali (come i lavori sui manicomi) . Ne conseguono oltre 200 pubblicazioni e altrettante mostre in tutto il mondo.
Fotografo soprattutto di figure ambientate e reportage:”non faccio mai mettere in posa. Ho in archivio 1 milione e 500 mila fotografie e solo 5 sono state create di sana pianta “
“Poi, se devo scegliere fra una foto formale e una di contenuto, io scelgo sempre quella di contenuto, ma se a una fotografia di contenuto aggiungiamo la forma, allora diamo più notizie e facilitiamo la lettura dell’immagine. Le due cose dovrebbero quasi sempre andare insieme, anche se il contenuto, per me, resta più forte.”

Non fotografo bambini e signore.

I bambini non è che non li fotografi per via della legge sulla privacy, ma perché sono sempre troppo sdolcinati.

E non fotografo signore, in assoluto, perché non gli vanno mai bene le mie fotografie. Ho fotografato Anna Magnani perché abitavamo nello stesso palazzo. Ero amico con suo figlio che aveva un handicap. Andavamo a giocare a casa sua così quando ho iniziato a fotografare ho ritratto la Magnani. Un giorno, mentre le facevo delle foto, eravamo vicino a una finestra e le ho chiesto se potevamo spostarci perché c’era una luce troppo dura che le sottolineava le rughe. Lei mi ha risposto: “Queste rughe me le sono conquistate, una alla volta, e voglio che si vedano tutte!”. Non ho avuto più parole

Alla domanda “che macchine usa, sostiene ancora l'uso del manuale?”
Sono un sostenitore della pellicola, anche se recentemente ho provato - e tutti per questo mi hanno molto criticato – una digitale. Il risultato è che non sono assolutamente passato al digitale, ma ho provato con questa nuova Leica che fotografa solo in bianco e nero, e quindi è molto vicina alla mia sensibilità. Ora continuo a fotografare con le mie Leica M7 e M6 a pellicola. Anche recentemente ho fatto un lavoro a Venezia, tutto in pellicola. Indubbiamente il digitale è stato una grande rivoluzione. Tecnicamente il modello che ho provato ha una resa da banco ottico addirittura, però trovo che il digitale sia comunque troppo metallico, troppo freddo, tutte cose che non cerco nella fotografia. Credo che la pellicola sia ancora più plastica e, soprattutto, generi un negativo. Avere un negativo, qualcosa di concreto in mano, per me è un gran vantaggio. Con il digitale non sappiamo se tra 50 anni esisteranno ancora gli strumenti per leggere le nostre fotografie o se saranno completamente cambiati i supporti e tutto sarà perduto. Per principio posso dire di non essere contro il digitale, però non credo che questo mezzo abbia grossi vantaggi. Inoltre la post-produzione, checché ne dicano, costa carissima. Indubbiamente il digitale è stato una rivoluzione e, come in tutte le rivoluzioni, in essa c’è il bene e il male.
Proprio recentemente mentre lavoravo a Venezia notavo che ormai tutti fotografano e quasi tutti fotografano male, a caso, tanto per fotografare, tanto perché hanno un mezzo, e fotografano le cose più stupide! Sia ben chiaro è loro pieno diritto, tutti possono fare quello che vogliono, però indubbiamente la fotografia ha avuto una grande diffusione che spesso a mio parere ha portato a poco.

Questo è uno scatto del reportage commissionatogli da Basaglia per documentare lo stato dei manicomi italiani, nel quale Gardin riesce a esprimere l’impegno sociale che caratterizza molta della sua opera. Uno scatto davvero rappresentativo che ci ricorda tre cose:

1.la delicatezza necessaria da parte del fotografo nei confronti del soggetto. Gli occhi non sono presenti in questo ritratto e questo solitamente sarebbe un “errore”, ma qui è un modo per evitare di rendere riconoscibile la persona che è in una situazione umiliante.

2.La potenza dello sguardo dei non-soggetti. Le persone dietro guardano il soggetto ed inevitabilmente anche noi facciamo lo stesso. Questi sguardi hanno un effetto rafforzativo dell’importanza del soggetto. A questo punto sorge anche un dubbio: qual è il vero soggetto?

3. Le mani che tengono la camicia di forza. Sono strette e tirano verso l’esterno. Importanti per simboleggiare la privazione della libertà.

Non ho insegnamenti da dare perché non ho la presunzione di essere un artista, e non ci tengo a esserlo. Sono un fotografo, ho fatto bene il mio lavoro. Tutto qui.

A cura di Emanuele Davi
Rif MarcoSilva (Fotocomefare)