Josef Koudelka

Josef Koudelka
1938 Moravia , Cecoslovacchia

“Non mi preoccupo di ciò che la gente pensa: so abbastanza bene chi sono. Ma mi rifiuto di diventare schiavo delle loro idee. Quando resti in uno stesso posto per un certo tempo, la gente ti colloca in una casella e si aspetta da te che tu ci resti”.

Molti anni fa, quando a scuola qualcuno chiese al piccolo Nicola Koudelka il mestiere di suo padre, il bambino rispose: "È un nomade"

“Un buon paio di scarpe”.
Questa la risposta di Josef Koudelka a chi gli chiede quale sia la cosa più importante per un fotografo.
Questa, anche, la sua pratica quotidiana: camminare, andare, percorrere.

Josef Koudelka è uno dei fotografi più grandi del mondo, ma nella percezione del suo figlio italiano – che oggi ha ventidue anni – era un uomo senza fissa dimora. Un vagabondo. Uno zingaro. Come chiamare altrimenti uno che per diciassette anni non ha mai pagato un affitto di casa? Uno che durante la bella stagione girava il mondo con lo zaino e il sacco a pelo a bandoliera, proprio come le macchine fotografiche, e in inverno sfruttava case di amici e il pavimento dell'ufficio della Magnum per mettere in ordine le foto scattate nei sei mesi più caldi?

Uno spirito libero e in continua evoluzione, così come la sua fotografia, ma non per questo meno perfezionista o privo di profondo senso autocritico. “Le mie foto quasi mai mi piacciono davvero. E se non sono soddisfatto, è semplicemente perché le buone foto sono rare. Una buona foto è un miracolo”
Per comprendere appieno il “personaggio Koudelka” e di conseguenza la sua fotografia, qualche cenno biografico . Nato nel 1938 a Moravia in Cecoslovacchia, inizia a fotografare giovanissimo, a 12 anni.

La passione inizialmente rimane tale, perché decide di diventare un ingegnere aeronautico e quindi, da vero perfezionista, studia per diventarlo. “Amavo in maniera esagerata gli aerei e diventare ingegnere aeronautico mi sembrò la cosa migliore da fare”.
Parallelamente, però, continua a coltivare la sua passione per la fotografia, iniziando ad arrotondare il suo stipendio da ingegnere con foto scattate a teatro.
Nel 1967 decide di abbandonare il lavoro di ingegnere per dedicarsi completamente alla fotografia.
Ma la svolta accade nel 1968, quando casualmente si trova a Praga, rientrato da appena due giorni dopo un servizio fotografico in Romania sugli zingari.
“È stato il momento massimo della mia vita. In dieci giorni è successo tutto quello che nella mia vita poteva succedere. Io stesso ero al massimo in una situazione che era al massimo. Forse è per questo che ho coperto questa situazione meglio dei reporter che erano arrivati da ogni parte del mondo e che lo facevano per mestiere. Io non ero un foto-giornalista”.

La fotografia qui a sinistra, il braccio maschile davanti alla spianata di San Venceslao, è una delle immagini simbolo della repressione di quel socialismo così diverso dal modello sovietico: l'orologio indica l'ora di quella che avrebbe dovuto essere una manifestazione di protesta il giorno dopo l'invasione sovietica. L'appuntamento del 22 agosto era in realtà una trappola, una provocazione di Mosca per radunare gente in piazza e poter scatenare incidenti che avrebbero giustificato l'ingresso dei soldati sovietici a Praga. Grazie a un passaparola nessuno si presentò, e la foto lo testimonia.

Quel giorno una sua amica gli aveva telefonato alle quattro del mattino urlando: Sono arrivati i russi! Nessuno ne aveva la certezza. Ma il trentenne Koudelka, indeciso fino a quel momento tra la carriera di ingegnere aeronautico – era arrivato a Praga da un villaggio di quattrocento anime per poter fare l'università – e quella di fotografo, prese la rudimentale Exakta, le pellicole cinematografiche tagliate a misura di rullino e diventò una leggenda.

Per molto tempo le sue fotografie hanno nella presenza umana una regola e una costante. Un rapporto diretto e senza barriere con la vita – vero e unico soggetto delle sue immagini – per avvicinarsi alla quale usa esclusivamente il grandangolare. Alcuni suoi lavori sono già nella storia della fotografia, e la potenza raggiunta, per esempio, nel raccontare gli zingari, non è stata mai eguagliata dai molti che hanno affrontato il tema.
Chissà quante scarpe avrà consumato, per seguire i suoi Gypsies in tutta Europa nell’arco di ben dieci anni (un libro che raccoglie tutto il lavoro, rieditato in maniera completa, è stato recentemente pubblicato da Contrasto Due sotto la supervisione dell’autore stesso).

Una sua frase, tagliente come una rasoiata sintetizza perfettamente il suo animo e la sua vita artistica:
“Non mi preoccupo di ciò che la gente pensa: so abbastanza bene chi sono. Ma mi rifiuto di diventare schiavo delle loro idee. Quando resti in uno stesso posto per un certo tempo, la gente ti colloca in una casella e si aspetta da te che tu ci resti”.

È stato uno sperimentatore come pochi, adottando per esempio il formato panoramico o fotografando paesaggi in verticale.
Una personalità poliedrica, da cui possiamo trarre alcuni fondamentali insegnamenti, analizzando le sue parole e le sue fotografie.

1)Non cercare il consenso a tutti i costi
Molte volte facciamo l’errore di voler piacere principalmente agli altri con la nostra fotografia.
Questo è particolarmente vero oggi, nell’era di Facebook e dei social network, dove il “like” diventa una forma di gratificazione e spesso anche l’unica. Non c’è niente di male in tutto questo, a meno che non finisca per condizionarti, rivelandosi una castrazione per la tua creatività.
Prova a uscire dagli schemi, magari iniziando a non pensare alle tue foto solo in ottica social.
Confrontarsi attraverso il rapporto umano, crea le condizioni ideali per crescere. Questo darà un indubbio stimolo alla tua creatività, facendoti crescere come fotografo.

2. Asseconda te stesso

“Io non cerco di comprendere. Per me la cosa più bella è svegliarmi, uscire e andare in giro a guardare. Guardare tutto. Senza che nessuno stia lì a dirmi: ‘devi guardare questo o quello’. Io guardo tutto e cerco di trovare ciò che mi interessa, perché, all’inizio, non so cosa potrà interessarmi. Mi succede anche di fotografare dei soggetti che altri troverebbero stupidi, ma che, personalmente, mi permettono di mettermi in gioco.
Imparare dai grandi maestri della fotografia, “copiandone” un po’ le metodologie di lavoro, è una cosa che facciamo quasi tutti. Ma quanto sopra citato di Koudelka dimostra che non esiste un modo univoco di approcciarsi alla fotografia.
Per trovare le giuste ispirazioni non esistono schemi ideali, tranne quelli di assecondare le tue tendenze e il tuo carattere.
Per cui ascolta tutti i consigli, ma poi non aver paura di seguire il tuo istinto. Probabilmente la tua forza risiede proprio lì.

3. Impara dai tuoi stessi errori

Solitamente, tutti i corsi e manuali di fotografia ti mostrano un numero infinito di foto eccezionali e la maniera migliore per realizzarle, mentre raramente ti mostreranno fotografie scattate male o con errori grossolani.
Una cosa che difficilmente facciamo, invece, è soffermarci ad analizzare a lungo i nostri errori per capire dove sbagliamo abitualmente.
Alla fine della tua sessione fotografica, indipendentemente dalla qualità generale dei tuoi scatti, fai l’esercizio di analizzare e approfondire le tue foto peggiori. Ti accorgerai di alcuni errori ricorrenti, anche a livello di composizione, che ti aiuteranno a capire dove tendi a sbagliare e perché.
Questo esercizio ti sarà molto più utile per crescere, rispetto a una frettolosa cancellazione del file.

4. Studia le regole, poi infrangile

Chiunque si approcci alla fotografia seriamente finisce spesso per adagiarsi in schemi preconfezionati, imparati nei corsi o sui libri, senza mai tentare di uscirne.
Regola dei terzi, sezione aurea, bilanciamento degli elementi, linee di fuga eccetera, sono solo dei suggerimenti estetici, non dogmi.
Le regole sono importanti da conoscere, anche per sapere cosa si va ad infrangere, ma questo non deve inibirti nella sperimentazione.
Prova a realizzare un’intera sessione fotografica sforzandoti di non rispettare alcuna regola fra quelle che conosci. Una volta a casa, potresti scoprire scatti eccezionali che mai avresti pensato di poter realizzare.

5. Cammina, cammina, cammina!

Se vuoi realizzare grandi scatti di strada non devi esimerti dal camminare, dal guardarti intorno, dal viaggiare e dallo scattare tanto.
E non è detto che ad ogni tua uscita fotografica corrisponda una grande quantità di buoni scatti.

A cura di Emanuele Davi