Quanto fino ad allora dipinto mi appagava, all’interno dei miei quadri riuscivo immediatamente a vedere i concetti che avevo voluto esprimere attraverso ognuno di essi. Eppure, guardandoli bene, in alcuni vi era ancora qualcosa che non andava. Il problema era chiaro, quello che non era chiaro era come riuscire a risolverlo.
Vi erano dei soggetti che riuscivo a dipingere meglio ed altri che invece non mi soddisfacevano affatto. Mi resi conto che se alcuni soggetti con i quali mi ero, con una certa frequenza, cimentato, non comparivano più nei miei quadri era principalmente perché non ero capace di dipingerli.
Fino a quel momento, mi ero cimentato due volte nella pittura di esseri umani (la macchina e voglia di libertà), e sebbene l’ultimo quadro nell’insieme mi avesse appagato, ero rimasto leggermente deluso appunto dalla loro rappresentazione. Più volte avevo dipinto abitazioni, chiese e colonne senza mai essere pienamente convinto del risultato.
Non essendo una persona che di carattere evita i problemi, ma al contrario ritenendomi uno che cerca di risolverli, decisi che era venuto il momento di affrontare anche questo.
Non sarei mai stato un vero pittore fino a quando non fossi stato capace di rappresentare in modo soddisfacente qualsiasi soggetto avessi voluto rappresentare. Non volevo che i soggetti dei miei quadri fossero semplicemente il frutto di una selezione di cose che ero in grado di dipingere. In futuro avrei scelto io ogni soggetto ed il modo in cui dipingerlo. Non mi sarei lasciato limitare dalle mie capacità.
Cominciai un periodo di analisi sui miei lavori confrontandoli dal punto di vista puramente tecnico con le opere dipinte da altri pittori e con alcune fotografie. Mi accorsi subito che la principale differenza era dettata dall’enorme numero di dettagli ovvero dai numerosi giochi di luce che erano presenti in ogni soggetto e che io trascuravo.
Decisi che i miei soggetti non sarebbero stati più il frutto della mia immaginazione e dei miei ricordi, ma che avrei avuto un modello reale o fotografico al quale mi sarei ispirato.
Cominciai con lo studio della prima cosa che avevo messo da parte: il corpo umano. Scelsi la rappresentazione se pur parziale di un nudo femminile. Presi la prima foto che mi capitò e cominciai il quadro.
Il risultato fu il “primo studio”. Non ero soddisfatto di quello che avevo dipinto, ma avevo finalmente capito che quella era la strada per ottenere quello che volevo.
Presi subito un’altra foto, e decisi di continuare il percorso con la rappresentazione completa di un altro nudo femminile.
Scelsi di partire dal nudo perchè sarebbe comunque stato semplice da rappresentare, privo dei numerosi dettagli che colmano i nostri abiti.
Alla fine del “secondo Studio” avvenne una cosa strana. Al contrario di quanto successo fino a quel momento non mi sentivo appagato del quadro e neanche dal soggetto, ma semplicemente dall’esecuzione di quel nudo.
Era arrivato il momento di tornare a dipingere secondo quella che era la mia interpretazione del termine e secondo il mio modo di procedere, cioè per prima cosa scegliere un tema da trattare, poi studiare il soggetto e la composizione, e tenere la rappresentazione come atto finale.
Il primo quadro che realizzai fu “Tunenide”.
Nei quadri che seguirono la fotografia diventò la fonte di ispirazione principale. Fu durante lo studio preliminare della composizione di “Miglene dervefia”, mentre ero alla ricerca di una fotografia che non riuscii a trovare, che decisi di dare un’ulteriore svolta al mio percorso artistico ed acquistai una costosa attrezzatura fotografica per fotografare, da me, i soggetti che avrei dipinto. Questa scelta ha condizionato il mio modo di vedere il mondo, adesso in ogni cosa che “incontro” vedo dei potenziali soggetti da dipingere.
Sempre in questo periodo è avvenuto un grossissimo cambiamento tecnico grazie all’introduzione di una procedura, da me utilizzata per aiutarmi nello studio delle proporzioni, delle prospettive e della composizione dei quadri.