Prose semplici 2 di Davide Morelli

SCIOPERO DELLA FANTASIA:
C’è un ragazzo in sala d’attesa. È appena maggiorenne. Da pochi giorni ha compiuto gli anni. È magro, bassino, castano. Ha gli occhi marroni. Ha l’aspetto trasandato. Non cura molto la sua immagine, ma solo la sua igiene. Tiene nella sua mano destra il biglietto del treno, che ha appena obliterato. Tra mezz’ora parte il suo treno. Il ragazzo non piace alle sue coetanee, ma non è disperato per questo. Non è un suo cruccio. È pomeriggio. Deve ritornare al suo paese. È venuto a Firenze per fare un giro e comprare un cd. Ma non ha comprato niente. Non ha trovato quello che cercava. Ha avuto occasione di guardare le vetrine, la gente, la bellezza della città. Per il resto ha avuto il tempo di prendere un caffè ed un hamburger in una paninoteca. È sudato. È caldo per essere autunno. È autunno inoltrato ma fioriscono ancora le margherite nei prati e nelle case ci sono le zanzare. In sala d’attesa il ragazzo dà sfogo alla sua curiosità. Osserva tutti i presenti. Si sente sicuro dietro i suoi occhiali da sole. Poi nessuno lo conosce o almeno così gli pare. Ad un certo punto il suo sguardo si incrocia con quello di una signora quarantacinquenne un poco svampita e un poco smunta. Ha l’aria svagata. È truccata vistosamente. Forse per cancellare le ferite dell’età. Nessun cosmetico però gli toglie l’effetto del suo volto scavato. Indossa una minigonna e un paio di calze a rete. Richiamano gli sguardi degli uomini anche i suoi occhi azzurri. Accavalla continuamente le gambe. Inizia a fissare il ragazzo, che ricambia l’interesse. A questo punto, caro lettore, hai diverse opzioni. La casistica potrebbe essere infinita. Ma io voglio presentarti solo qualche possibilità:
1. la donna vuole carne fresca. Le piacciono i ragazzi giovani. Vuole trovarne uno vergine.
2. La donna è una amica della madre, che lui non conosce.
3. La donna è una testimone di Geova, che vuole convertire il giovane.
4. La donna è una attrice che sta facendo candid camera. Il ragazzo sarà la sua vittima.
5. La donna è una sbandata e vorrebbe spillare qualche spicciolo al ragazzo per farsi una birra. Il ragazzo potrebbe essere convinto facilmente. Potrebbe darle qualche soldo.
6. La donna si diverte a fare la sciantosa con i ragazzi. Li illude e li delude. In realtà è sempre innamorata di suo marito, a cui è sempre stata fedele.
7. La donna è una investigatrice privata assoldata dai genitori del ragazzo. Adesso ha finito il suo lavoro. Ha visto che il ragazzo non frequenta strani giri e può anche farsi notare da lui guardandolo e sorridendogli.
8. La donna cerca ragazzi giovani che distribuiscano volantini per le vie del centro.
9. La donna è una turista straniera, che vorrebbe qualcuno a farle da cicerone gratuitamente.
10. La donna gioca con il ragazzo solo per ammazzare il tempo. Trova le attese alla stazione interminabili e noiose.
11. La donna è una casalinga con prole con la caratteristica di essere curiosa proprio come il ragazzo.
12. La donna è una scrittrice di libri sui giovani. È da sempre affascinata dalle nuove generazioni. Studia e osserva giovani ovunque.
13. La donna è una poliziotta in borghese. Sta osservando se il ragazzo è un drogato. Ha paura che possa essere avvicinato da degli spacciatori.
14. La donna è una psicologa, che lavora molto con le case famiglia. Sta studiando se il ragazzo è un disadattato.
15. La donna è una regista di film porno con attori non professionisti. I suoi attori sono persone comuni. Vorrebbe il ragazzo come protagonista.
16. La donna lo guarda perché il ragazzo somiglia molto a suo figlio morto da poco tempo.
17. La donna lo guarda perché il ragazzo somiglia molto a un amico di suo figlio. Fino all’ultimo è rimasta perplessa ed interdetta perché la somiglianza è notevole.
18. La donna è una prostituta che vuole rimorchiare qualcuno. Per esperienza sa che i giovincelli di primo pelo sono meno violenti e più gestibili.
19. Alla donna sta simpatico il giovane. Gli ricorda suo marito nel fior fiore degli anni.
Puoi scegliere altre opzioni. Io lascerò il ragazzo e la donna in sala d’attesa. Per oggi la mia fantasia farà sciopero. I miei personaggi li lascio a te. Lascerò al mio unico lettore la responsabilità di fare le veci dei personaggi di questo insulso raccontino senza fine e senza firma.

PAROLA NUOVA:
A dire il vero ero nata legittimamente dalla mente di un religioso di ottanta anni. Era un prete salesiano. Mi chiamavo epifonia. Non è uno sbaglio. Non è un refuso. Alcuni possono pensare che epifonia sia il refuso di epifania. Epifania significa befana perché dall’etimologia sappiamo che significa manifestazione divina e che è riferito all’apparizione della stella che riuscì ad orientare i re Magi. Epifania è anche sinonimo di illuminazione interiore dopo l’Ulisse di Joyce. Alcuni potrebbero pensare a un refuso perciò. Ma non è così. Epifonia significherebbe letteralmente suono che viene da sopra. Potevo essere intesa anche come sinonimo di chiamata divina. Il mio sinonimo sarebbe teofania in genere. Sto avendo vita breve. Non sono riuscita a vivere tra la gente. Non sono mai riuscita a passare di bocca in bocca. Non sono mai stata diffusa. Non sono riuscita ad essere accettata neanche dalle persone di cultura. Potevo fare la mia vita tra le parole difficili religiose. Sarebbe stata una vita ritirata. Invece no. Sono scomparsa. Sono quasi morta. Avevo delle origini nobili. Ma una parola non può mai fare l’altezzosa. Deve stare immersa tra la lingua della gente. Una parola muore quando nessuno la dice, la scrive, la pensa più. Non sono mai stata consacrata ufficialmente. Non sono mai comparsa in un vocabolario. Neanche nel più scadente dei vocabolari. Figuriamoci poi in un dizionario dei sinonimi e dei contrari. Non parliamo poi dei giornali e delle riviste! Nessuno mi ha utilizzato lì. Aspetto che qualcuno mi riesumi prima ancora di essere morta definitivamente. Ma forse è meglio di no. Non so per quanto tempo resisterò. Un tempo il mio creatore mi aveva insegnata a qualche altro religioso e qualche suo allievo. Oggi sono dimenticata. Forse rimossa. Sicuramente trattata come se non fossi mai esistita dai più. Ma in fondo non è quello che aspetta alla maggioranza delle cose e degli uomini? Mi chiedo a che cosa sia servita la mia breve vita. Quale funzione ho svolto? Sono stata solo lo sghiribizzo di un vecchio o poco più. Non ho avuto fortuna. Ecco tutto. Quanto è difficile e grama la vita di una parola nuova oggi! Un poeta ad esempio può essere aspirante o sedicente. Una parola no. Una parola per esistere, per vivere deve essere effettiva. Forse la mia colpa è stata quella di essere una parola astrusa. Forse non sono campata abbastanza perché sono una sosia della parola “epifania”. Forse non sono mai stata volgare. Forse mi hanno sempre considerato una signorina altezzosa. Probabilmente sono sempre stata considerata una parola di troppo. Poi che futuro posso avere io che derivo da una lingua morta e non sono un neologismo derivato dall’inglese? Chi lo sa? Chi può dirlo? Forse la triste verità è che non avrei potuto diventare una parola popolare neanche in un ambito molto ristretto come quello colto religioso. Scomparirò ufficialmente quando moriranno tutti quelli che mi hanno conosciuto. A questo punto spero di non essere tramandata a lungo. La mia esistenza è accanimento terapeutico. Io vorrei che qualcuno mi eliminasse dalla faccia della terra e dalla mente degli umani. Avrei bisogno di una eutanasia. Vivo di stenti da tempo immemorabile. Ringrazio chi mi utilizza in ogni modo. Non posso permettermi di essere esclusiva. A questo punto cosa posso dirvi? Io non sono padrona del mio destino. Fate quello che volete di me, cari uomini. Questo è il mio grido disperato. Ringrazio l’autore di questo antiracconto fantastico per avermi menzionato. Non so come ha fatto a conoscermi. Ma in fondo sono altre le cose a cui dò importanza oggi.

IL SUICIDIO INSCENATO:
Era mattina. Si era svegliato all’alba. Aveva già fatto colazione, inzuppando alcuni savoiardi nel cappuccino. Sua moglie si era già recata al lavoro. Era una donna sempre piena di premure per il suo consorte. Aveva già portato i due figli a scuola. Si erano salutati normalmente: come sempre. Lei non aveva notato niente. Sembrava procedere tutto come sempre. La moglie non aveva presagito alcunché. Era da anni che non litigavano. Nessuno screzio. Tutto rientrava nell’ordinario. Nessuno sembrava avere ombre sul cuore. Il mondo aveva già ripreso il suo tran tran. Le commesse aspettavano clienti. Tutto sembrava andare come al solito. Ma non era affatto così. Lui avrebbe dovuto essere al lavoro. Invece aveva deciso di mettersi sul cornicione del suo attico. Si era vestito in giacca e cravatta come tutti i giorni lavorativi. Si era pettinato. Aveva dedicato dieci minuti alle sue abluzioni. Si era anche lavato i denti e si era passato il filo interdentale. Alcuni passanti lo avevano già notato. Uno aveva alzato gli occhi al cielo e aveva notato lui che se ne stava lì impassibile all’undicesimo piano di quel palazzo del centro cittadino. Dopo cinque minuti erano arrivati i carabinieri. Dopo dieci minuti era arrivata l’ambulanza. Il maresciallo prese il megafono ed iniziò a parlare. Lo mise subito a suo agio. Voleva fare in modo di farlo desistere dall’estremo gesto. Gli chiese se voleva che contattassero qualcuno in particolare. Lui gli rispose che voleva rivedere sua moglie ed anche l’amante di sua moglie, che fino a pochi giorni prima credeva il suo migliore amico. Disse al maresciallo che le persone non si conoscono mai troppo bene e che entrambi avevano tradito la sua fiducia. Disse che erano due infami, che avevano mancato come persone e voleva rivederli. Voleva vedere le facce che avrebbero fatto quando l’avrebbero visto in quelle condizioni, pronto a spiccare un salto nel vuoto. Era una bella mattina estiva. Erano le nove. Stava iniziando a fare caldo. Il sole stava iniziando a picchiare. Il cielo era terso. Nessuna nuvola nella volta celeste. Stavano iniziando a sudare sia l’aspirante suicida sia i carabinieri. Il maresciallo cercò in tutti i modi di rincuorarlo. Gli ricordò che aveva due bambini e che non poteva lasciarli in quel modo. I suoi figli avevano ancora bisogno di lui, delle sue attenzioni e chiaramente anche del suo stipendio. Dopo un quarto d’ora arrivarono sia la sua moglie che l’amante. Il nostro disse ad entrambi che erano dei bastardi, che non dovevano negare l’evidenza dei fatti e che aveva le prove del tradimento perché aveva assunto un investigatore privato. Nel frattempo la strada si era riempita di gente. Una intera folla aveva lo sguardo rivolto verso l’alto, verso il protagonista indiscusso di questa vicenda. Qualcuno ci aveva guadagnato. Il bar di sotto era pieno di curiosi che si erano intrattenuti lì a seguire la vicenda e avevano preso il caffè oppure avevano acquistato bottigliette di acqua da mezzo litro. La moglie piangeva e cercava di convincerlo. Lo supplicava come mai aveva fatto. L’amante aveva chiesto anche lui scusa. Entrambi avevano detto che non si sarebbero più rivisti. La moglie aveva detto che nel caso di un eventuale divorzio non avrebbe accampato giustificazioni di alcuna sorta e che non si sarebbe nemmeno difesa. Era una cittadina in cui succedeva ben poco. Era un poco noiosa la vita lì. Ormai questa vicenda l’avrebbero saputa tutti. Sarebbe finita in cronaca locale. Lei sarebbe stata conosciuta come fedifraga da tutti. Ormai lui aveva ottenuto quello che voleva. A onor del vero non aveva mai pensato neanche un istante di gettarsi di sotto. Voleva solo civettare con la morte. Voleva solo inscenare il suicidio. Voleva solo richiamare l’attenzione su di sé. C’era perfettamente riuscito in fondo. Ma in ogni cosa della vita bisogna sempre mettere in conto gli imprevisti. Mentre cercava di rientrare in casa fece un gesto goffo e perse l’equilibrio. Scivolò banalmente. Cascò di sotto e si spiaccicò al suolo. I vigili del fuoco con il loro telo gonfiabile non riuscirono a prenderlo. Accadde tutto molto velocemente. Non atterrò lì sul telo. Lo soccorsero subito. Cercarono di rianimarlo. Lo portarono a sirene spiegate in ospedale ma non c’era più niente da fare. Morì a causa delle lesioni interne. Rimase in agonia per alcune ore prima di crepare. Aveva voluto beffare sua moglie ed invece era rimasto beffato da un destino crudele ed inaspettato. Si era suicidato involontariamente.

DUE ASSASSINI:
Uno fa l’autostop. Ha ucciso già una donna in questo modo. La povera malcapitata gli aveva dato un passaggio. Il mondo è pieno di malintenzionati ma quel trentenne ben vestito e bello non sembrava davvero un maniaco. Naturalmente non è dall’aspetto che si vede un serial killer. Questo assassino è alto, biondo, muscoloso. Ha i bicipiti, i pettorali, gli addominali scolpiti del tipico palestrato. Si veste sportivo. Porta sempre con sé uno zainetto in cui mette la sua arma: un machete. Ha nello zainetto anche alcune bottiglie d’acqua per lavarsi e degli asciugamani per pulirsi e mescolarsi tra la gente dopo il fattaccio come se niente fosse accaduto. Alla sua vittima ha tagliato la gola, ma gli inquirenti non sono mai riusciti a risalire a lui. È incensurato. Non ha mai avuto problemi con la giustizia. Non ha la patente e quindi non ha mai preso nemmeno nessuna multa. I poliziotti brancolano ancora nel buio. È un delitto irrisolto. Nessuno ha mai sospettato di lui e della sua aria da bravo ragazzo. Quando attacca la vittima confida nella sua forza e cerca sempre di coglierla di sorpresa. Ha colpito una donna ma potrebbe colpire anche un uomo. Dipende da diversi fattori. Uno di questi è il caso. Un altro è il denaro. L’assassino vuole colpire una persona benestante, indipendentemente dal sesso o dall’età. Il secondo assassino è una donna. Una donna che ha già ucciso due autostoppisti. È una bella donna. È sulla quarantina ma porta benissimo i suoi anni grazie al footing e alla chirurgia estetica. Ha subito uno stupro e vede in ogni uomo uno stupratore. Ha deciso di vendicarsi, di passare al contrattacco. È una bella mora con gli occhi azzurri. È slanciata e snella. È una bellezza che non passa inosservata. I maschi la desiderano. Le donne la invidiano. Nella borsa tiene uno spray al peperoncino e la pistola. Nessuno sospetta di lei. Per ora non ha lasciato tracce neanche lei. I due assassini si sono visti. L’assassino ha alzato il pollice. L’assassina ha frenato subito. Ha fermato la macchina e ha fatto cenno di entrare. Lei chiede dove è diretto. Guarda caso devono andare tutti e due a Firenze. Ci sono trenta chilometri con quella strada statale. I due assassini si stringono la mano e iniziano a conversare. Si stanno studiando. La macchina riparte. Lavoreranno insieme? Faranno lavori a quattro mani? Uccideranno altre persone? È molto difficile riconoscersi anche tra simili. È molto difficile stipulare un patto di non belligeranza e mettersi d’accordo. È così difficile cooperare anche in casi come questo. Uno ucciderà l’altro? Uno dei due prevarrà? Avrà la meglio la donna con la pistola o la forza brutale del ragazzo? Oppure si uccideranno a vicenda e nessuno sopravviverà? Sarà una bella lotta? Oppure nessuno farà niente all’altro ed arriveranno tranquilli a Firenze? E se si innamorassero senza sapere degli omicidi compiuti dall’altra persona? Tutto può succedere. A volte può accadere anche niente e tutto può scorrere normalmente…anche tra due persone per nulla normali.

DIO:
C’era una volta un signore che si era dimenticato di Dio. Aveva una casa, una macchina, una moglie, dei figli, dei genitori anziani, una amante, un lavoro, degli amici. Non aveva fede. Detestava i luoghi di culto, anche se non aveva alcuna avversione per il sacro. Nel tempo libero costruiva modellini di velieri e scriveva racconti. Un tempo scriveva poesie. Qualche critico, dopo aver letto i suoi lavori, lo aveva rimproverato dicendogli che la prosa d’arte non esisteva più e che il linguaggio di un vero scrittore doveva subire contaminazioni e sporcarsi. Insomma doveva srilicizzarsi ma non ci riusciva. Forse il motivo era che non credeva in Dio. Lui neanche lo bestemmiava mai. Non lo menzionava mai. C’erano altri nel mondo che non ci credevano. C’erano altri che pensavano alla sua esistenza ma nel frattempo sospendevano il giudizio. Questo signore no. Se ne era dimenticato o forse sarebbe meglio dire che Dio non era più nei suoi pensieri da tanto tempo. Non ci pensava più neanche quando era tornato a casa dal lavoro e si metteva a mangiare. Non ci pensava più neanche la sera a letto prima di coricarsi. Non gli rivolgeva mai una preghiera. Ma in fondo questa non era l’atteggiamento esistenziale dell’uomo occidentale contemporaneo?
C’era una volta un signore che andava sempre in chiesa ma era un bigotto, un fariseo. In realtà trasgrediva molti comandamenti, anche se all’apparenza era un uomo di sani principi. Gli piaceva giudicare tutti e guardava tutti dall’alto in basso. Era una persona rispettabile e incuteva un certo timore reverenziale. Era anche amico del vescovo. Un suo precettore un tempo gli aveva insegnato che doveva fare quello che diceva il prete e non fare ciò che faceva il prete, ma lui se ne era sempre strafregato. Era molto benestante ed aveva mandato i suoi figli nelle scuole private gestite dai preti perché insegnassero loro dei valori. Dopo la maturità li avrebbe mandati tutti a studiare all’estero perché imparassero le lingue. Tradiva la moglie con numerose ballerine di nightclub club. Rubava nei modi più disparati ma sempre con classe. Non provava rimorsi. Ma in fondo questo non è il comportamento di molti uomini occidentali?
C’era una volta un signore che invece era stato dimenticato da Dio. Aveva avuto molte sventure. Era orfano. Era stato cresciuto in un orfanotrofio. Era vissuto per molto tempo sulla strada. Ci viveva ancora. Non aveva un lavoro, una casa, una famiglia. Aveva solo pochi amici con cui dormiva all’aperto. Viveva di espedienti. Nonostante tutto voleva mantenersi onesto e avere una dignità. Diceva che queste due cose nessuno avrebbe potuto portargliele via. Lui non conosceva Dio. Nessuno gliene aveva mai parlato in ore noiose di catechismo. Non lo aveva mai sentito nominare in chiesa. Non era perciò credente. Ma in fondo questa non è la condizione reale di sempre più uomini nel mondo?
C’era un signore che aveva avuto un segno divino ma continuava a vivere come se niente fosse. Aveva udito un suono profumato e aveva visto un profumo colorato. Erano sinestesie divine, ma rimandava il pentimento dei suoi peccati a data da destinarsi. Il suo tempo stava scadendo.
C’era in fondo un signore ateo dichiarato che viveva senza infamia e senza lode e che nel suo intimo più profondo sperava nell’esistenza di Dio; sperava anche in cuor suo in un grande finale ad effetto, in un grande colpo a sorpresa del creatore. Non era forse in fin dei conti un uomo un poco decente?

SURREALE:
C’era una signora che aveva un’agenzia matrimoniale e faceva la pubblicità alla televisione. Da lei arrivavano tutti i cuori solitari, che cercavano l’anima gemella. Lei sosteneva che nella sua agenzia c’era l’imbarazzo della scelta. Insomma ce n’era per tutti i gusti. A onor del vero lei, che aveva una esperienza pluriennale, ne aveva viste di tutti i colori. Ormai non si stupiva più di niente. Non la disgustava più niente. Una volta aveva avuto tra i suoi clienti anche il titolare di una agenzia di pompe funebri. Le aveva confidato che lui, nonostante mille sforzi, si innamorava solo delle defunte. Insomma era necrofilo e dava sfogo ai suoi impulsi quando le sistemava. Inutile dire che con le defunte faceva cose dell’altro mondo. Ma il caso più disperato era un signore che si innamorava solo di sconosciute. Appena conosceva le donne si disinnamorava. Diceva che le donne così perdevano il loro fascino e tutto perdeva la poesia, appena aprivano bocca. Lui si innamorava sempre di passanti e di viaggiatrici di treni o di autobus. Ma non osava mai presentarsi né rivolgere loro la parola. Una sera la signora dell’agenzia matrimoniale ebbe una felice intuizione. Decise di presentare al signore che si innamorava solo di sconosciute il signore che si innamorava solo di defunte. Si intesero subito a meraviglia. In breve tempo diventarono subito amici e uscirono assieme. Fu allora che il signore che si innamorava di sconosciute capì che fino a quel momento aveva vissuto di amori platonici e che non c’era distinzione alcuna tra lui e il signore che amava le defunte. In fondo anche quest’ultimo amava delle sconosciute. Così oltre ad essere amici diventarono anche soci ed entrambi furono necrofili. La signora dell’agenzia matrimoniale non sapeva se rallegrarsi o inorridire. Non poteva dire alcunché. In fondo garantire massima discrezione personale era una qualità richiesta per la sua professione.

IL PARTICOLARE:
C’era un ragazzo che diceva di voler fare l’amore con tutto il genere umano. Diceva che bisognava abbracciarsi e che bisognava amarsi. Secondo lui tutti avevano bisogno di calore umano. Secondo lui tutti dovevano amarsi disinteressatamente. I suoi discorsi erano vortici di parole. Lui era innamorato della vita e del mondo. Diceva che forse anche il paradiso era un orgasmo cosmico senza orgia e che l’inferno era una orgia eterna senza orgasmi. Diceva che tra sesso e amore non c’era una netta linea di demarcazione. Diceva che comunque non credeva alla beatitudine eterna né alla pace dei sensi terrena. Il paese in cui viveva era molto all’antica. Secondo una vecchissima tradizione le ragazze dovevano percorrere il quadrilatero di vie del centro storico in una direzione e i ragazzi nell’altra direzione. Lui invece le percorreva in ogni direzione. Contravveniva alle regole della tradizione. Fermava tutti i passanti e le passanti per la strade. Si fermava a parlare. Faceva loro proposte indecenti. Nessuno accettava, forse perché il ragazzo aveva qualcosa di inquietante. Molti si dichiaravano scandalizzati. Le ragazze più volte chiamavano i carabinieri. Tutti lo consideravano un invasato. Il ragazzo finiva le sue giornate solo e pensieroso perché sapeva che tanti altri esseri umani si accoppiavano la notte, mentre lui era sempre da solo. Era una sorta di bonobo kissing solitario in un paese di morigerati monogami. Una volta il ragazzo incontrò uno scrittore in crisi di ispirazione. Era talmente orripilante che il ragazzo non gli fece alcuna proposta. Gli chiese per quali motivi scrivesse. Lo scrittore gli rispose che scrivere era allo stesso tempo un modo per distrarsi dal pensiero della morte e un modo per prepararsi alla morte. Insomma ogni scrittore era un poco schizoide. Lo scrittore si confidò con il ragazzo. Gli spiegò che aveva ragione il grande Giorgio Manganelli, ovvero che il linguaggio era un gioco, un sempiterno “come se”. Gli disse che in fondo la scrittura era molto spesso sublimazione del sesso e che lui quindi non faceva più sesso, ma si limitava solo a scrivere. Gli parlò anche delle sue aspirazioni e velleità. Gli spiegò che la vera letteratura poteva essere senza trama né macchinazione. La cosa importante era che avesse uno stile. Lo scrittore era indeciso se provare a scrivere un “Libro Totale”, un’opera onnicomprensiva che descrivesse il mondo intero, oppure un racconto brevissimo in cui veniva descritto un particolare apparentemente insignificante ma che si rivelava alla fine essenziale, fondamentale. Lo scrittore raccontò al ragazzo i suoi dubbi, le sue perplessità. Quest’ultimo allora disse che era lui il dettaglio apparentemente insignificante su cui doveva scrivere. Dopo un istante il ragazzo scomparve per sempre dal mondo. Nessuno venne più importunato in quel paese. Tutti vissero e camminarono in santa pace. Lo scrittore continuò a confidarsi, ma soltanto alle pagine bianche. Subito dopo aver scritto del ragazzo morì. Non so come né perché, ma questa strana storia finisce qui.

IL MANIACO:
Ogni sera. Ogni maledetta sera venivano a fare l’amore dietro casa. Amanti, più o meno clandestini , si appartavano vicino alle abitazioni per evitare maniaci di ogni sorta. Cercavano tranquillità. Cercavano un posto sicuro dove scambiarsi effusioni e fare sesso. Tra poco da questa casa me ne sarei andato via. Era stata venduta. Me ne sarei andato in un’altra più piccola e più economica. Queste auto alcova non mi avrebbero mai più fatto compagnia. In realtà mi avevano sempre ossessionato. Rappresentavano una minaccia per me: un vero pericolo incombente. Potevano essere dei malintenzionati. Potevano essere dei ladri, dei rapinatori. Oppure forse provavo invidia. Invidia per quei ragazzi che facevano l’amore con la loro fidanzata. In fondo io ero solo. Solo da anni ed anni senza una ragazza. Ma poi non avevano altri luoghi? Una cosa poi mi dannava e mi esasperava. Erano i resti dei loro amplessi. Di giorno andavo a camminare con il mio cane. Lo portavo a spasso e c’erano per terra tutti i preservativi usati. Erano tutti nel viottolo. Non avevano neanche l’accortezza di buttarli nel fosso lì vicino. Che incivili! Che maleducati! Forse lo facevano a spregio. Forse per loro questa indelicatezza era la normalità. Che rozzezza! Era una contraddizione bella e buona. Loro si appartavano vicino alle case invece che in aperta campagna per essere soccorsi se fossero stati attaccati da un maniaco e non rispettavano minimamente le persone che avrebbero potuto aiutarli. Che controsenso! Il viottolo era una strada senza uscita. Era a senso unico. Il comune aveva messo le sbarre alla fine della stradina. Nonostante questo venivano sempre a fare sesso. Una volta un vicino si era rivolto ai carabinieri, che una sera avevano mandato una pattuglia ed avevano chiesto i documenti alle coppie appartate. Avevo saputo che alcuni erano stati colti in fragrante: atti osceni in luogo pubblico. Quei pochi però avevano pagato per tutti. Avevano chiesto si carabinieri di smettere di mandare pattuglie. Addirittura avevano sorpreso anche la segretaria di un avvocato con il suo futuro sposo e la figlia di un cancelliere della pretura. Questi controlli non risolvevano niente. Alla fine non c’era modo di venirne a capo. Continuavano a fare sesso in queste auto alcova. Alle volte nel cuore della notte si sentiva suonare i clacson. Ogni tanto qualche macchina d’inverno durante la pioggia torrenziale restava impantanata e allora venivano a suonare e a chiedere aiuto. Insomma erano diverse le cose che non mi andavamo. Avrei dovuto andarmene esattamente tra una settimana. Mancava una settimana all’ora X. L’altra casa era già pronta. Una piccola villettina monofamiliare in una zona non residenziale. Non vedevo l’ora. Avrei dovuto lasciarmi tutto alle spalle, ma non era affatto così. Me ne accorsi quella sera. Ero ubriaco. Ero rientrato da un’ora. Avevo fatto un giro in tutti i pub. Avevo bevuto una birra in ogni locale. Ero ritornato con la bicicletta. Ero anche cascato, ma soltanto qualche escoriazione. Niente di più. Sapevo di birra. Ero completamente ubriaco. Ho deciso che avrei risolto la situazione una volta per tutte. Andai in cantina prendere il fucile. Lo caricai. Era il fucile da caccia di mio padre. Lui era ignaro di tutto questo. Stava dormendo sonni tranquilli. Presi il fucile. Aprì il cancello con il telecomando. Era notte fonda. I vicini erano tutti in vacanza. Era Agosto. C’era una macchina proprio lì. I vetri erano appannati. Iniziai a dare calci all’auto. Uscì un energumeno sicuro del fatto suo e della sua stazza fisica. Esplosi un primo colpo. Lo centrai in testa. Poi un altro colpo al cuore. Stramazzò al suolo. Era morto subito. La ragazza aprì lo sportello. Cercò di scappare. Io la afferrai per i capelli. Stava piangendo. Stava singhiozzando. La stuprai in ogni modo. Era bella e giovane. Un corpo perfetto. Un bel viso. Davvero una bella biondina con gli occhi verdi. Le strappai i vestiti. Mi supplicava di non ucciderla. Mi diceva che non avrebbe detto niente a nessuno. Povera illusa! Uccisi anche lei con due colpi: uno alla testa e uno al cuore. La lasciai nuda nel viottolo. Telefonai con il cellulare alla questura. Era tutto finito. Alla fine sarei stato preso per pazzo. Mi avrebbero dato l’ergastolo, ma quella sera avevo dato libero sfogo alle mie voglie. Ero io il maniaco di cui aver paura. Ero io il maniaco da cui stare alla larga e loro avevano continuato a venire vicino a me con le loro auto alcova. Era stato uno stillicidio continuo in tutti questi anni ed alla fine ero diventato un maniaco.

PICCOLE STORIE:
Ci mettiamo a parlare di molti anni fa. Mi racconta le storie della sua giovinezza. Mi racconta le storie di guerra. Mi dice:” alloggiavamo in una casa di un contadino, nel cuore di una vallata, e dormivamo nelle stalle. Mi ricordo che l’edera stretta si attorcigliava, si abbarbicava sui muriccioli di quelle terrazze. Arrivarono i tedeschi e dopo aver saccheggiato la casa volevano portarsi via mia sorella, ma mia madre la fece scappare e loro le puntarono la pistola alla tempia e le dissero: “la prossima volta sparare”. Mia madre non dormì tutta la notte e dallo spavento le venne la febbre alta: se non ricordo male a quaranta”.
Poi mi racconta un’altra storia, che invece è finita male. Mi dice: “erano giovani. Lui lavorava in fabbrica ed era il bello del paese. Lei lavorava da uno della guardia di finanza. Con il cannocchiale si misero a guardare dal terrazzo della chiesa la guerra, i colli, il mare. Quando iniziarono i bombardamenti si rifugiarono in chiesa e si nascosero dietro l’altare. Non c’era nemmeno il prete, che era sfollato in uno scantinato. Si nascosero dietro l’altare, sperando che almeno lasciassero in pace i luoghi dove raccogliersi e pregare. Ma avvenne il sacrilegio: anche lì giunse una bomba e non vi fu niente da fare”. Quindi mi racconta di un aneddoto riguardante un nostro parente: “era orfano di padre. Sua madre tirava avanti un negozio per farlo studiare. In un rastrellamento lo portarono via i tedeschi per farlo diventare un loro lacchè. Ma giunti al comando lo lasciarono andare in cambio di un bell’orologio, che gli avevano regalato per la promozione ad un esame. Era già sera, quando ritornò a casa”.
Infine conclude ricordando una nostra conoscente: “quella da giovane giaceva con i tedeschi, si concedeva nei loro accampamenti. Adesso è vecchia ed ha nipoti. Sono cambiate troppe cose. Ma tu che sei nato dopo non puoi giudicare. Non sai la nostra meraviglia per il sapore della carne, per l’odore del pane”. Ma queste piccole storie sono destinate a scomparire di fronte ai grandi avvenimenti e ai grandi personaggi della grande Storia. Finisce sempre così purtroppo.

FANTASIE:
C’è un uomo che ha fatto il suo tempo. Non piace più a sua moglie. Viene licenziato dal lavoro e non riesce a trovarne un altro perché le sue conoscenze vengono considerate obsolete. Saluta i figli, la moglie, gli amici. Metta in una borsa il minimo indispensabile . Questo uomo fa un prelievo di qualche migliaia di euro e scappa via in un posto sperduto del mondo.
C’è un uomo che ha il dono della telepatia. Riesce a leggere nella mente delle persone. Una volta va all’ospedale a trovare un amico in coma. Ma questo non pensa niente e leggendo la mente vuota di un’altra persona il sensitivo impazzisce e vaga senza meta.
C’è un uomo che passa le sue giornate oziando nella sua stanza. Legge libri. Guarda la televisione. Pensa ai mali del mondo. Si riposa per ore. La morte ogni dieci anni bussa alla sua porta con discrezione e lui risponde di non entrare. La morte avvisa che non si dimentica mai di nessuno e che ritornerà.
C’è un uomo che mette continuamente amore nelle cose che fa. Cerca di amare il più possibile chi gli sta attorno. Eppure non viene mai apprezzato. Questo uomo comunque non si dà per vinto e continua gagliardo la sua lotta quotidiana contro il destino avverso.
C’è un uomo che vive in una grande città. Piace a così tante donne che ha l’imbarazzo della scelta, ma non riesce mai ad innamorarsi di nessuna ed invidia perennemente un suo amico che si innamora di tutte ma non viene mai ricambiato da nessuna.
C’è un uomo che perde tutto al gioco e vuole suicidarsi insieme ad una bella donna. Ma non trova nessuna. Allora ci prova da solo ma i suoi tentativi vanno sempre a vuoto.
Questi uomini fantastici affollano la testa di un medico in pensione. Riesce a conviverci pacificamente. Li considera dei sintomi di demenza senile. Oramai è rassegnato alla loro presenza. Sono dei suoi demoni o quantomeno sono suoi mostri. Non ne ha mai parlato con nessuno. I più indulgenti gli direbbero che ha una fervida immaginazione, ma sicuramente penserebbero che è un poco toccato. È affezionato ormai a queste presenze perché sono state partorite dalla sua massa cerebrale. All’improvviso scompaiono dalla sua immaginazione e lui muore. La morte questa volta non ha bussato. Ha giocato un brutto tiro. Verranno seppellite con lui anche le sue fantasie segrete. Succede sempre così.

IL SANGUE:
Ho 42 anni. Mi chiamo Mario. Non sono fidanzato. Non sono mai piaciuto alle ragazze. Ero un operaio. Una volta ogni due mesi andavo al nightclub club; mi ubriacavo e spendevo trecento euro. Le ragazze del nightclub erano tutte molte belle e quasi tutte straniere. Sono un salutista, nonostante ogni tanto alzi un poco il gomito. D’altronde nessuno è perfetto. Non vi dico di che segno sono perché non credo agli influssi astrali sulle nostre vite. Non credo ai segni zodiacali, agli ascendenti, agli oroscopi. Diciamo che sono un razionalista. Mi piace leggere libri di saggistica e di filosofia. Trovo molto rilassante andare a camminare sotto i portici e guardare le vetrine dei negozi. Mi piace anche fare i lavori di bricolage a casa. Sono molto pratico. Sono uno smanetttone. Mi fa paura la vista del sangue. Mi impressiona la vista del sangue. La prima volta che ho visto il sangue è quando avevo cinque anni ed un bambino di dieci al carnevale mi dette un pugno sul naso. Non mi piace nemmeno il sapore dolciastro del sangue. Probabilmente il sangue mi impressiona perché ho assistito una volta a dodici anni ad un incidente. Un furgoncino ad elevata velocità stava percorrendo un viale e il conducente ebbe un colpo di sonno, andando a finire contro un passante sul marciapiede. Il guidatore perse il controllo del mezzo e uccise un pensionato di 67 anni. Io assistetti a tutta la scena e vidi una copiosa pozza di sangue sul marciapiede. Mi stupì anche il fatto che potevo essere io la vittima. Fu un istante. L’uomo non si accorse di niente. Fu la prima volta che mi accorsi in pratica quanto è precaria la vita. Basta talmente poco per andare all’altro mondo. Nonostante creda alla logica sotto questo aspetto sono fatalista: non c’è niente da fare quando arriva la nostra ora. L’uomo spirò subito. Morì sul colpo. Non ci fu niente da fare, anche se accorsero subito a soccorrerlo due medici, che erano andati a fare colazione ad un bar vicino. Arrivò anche l’autoambulanza subito ma il personale medico e paramedico constatò il decesso e basta. Mi impressiona la vista del sangue e probabilmente sarei svenuto se un mio collega si fosse infortunato gravemente. Non sarei affatto d’aiuto in situazioni d’emergenza. Anzi sarei proprio d’intralcio. Ho 42 anni. Mi chiamo Mario. Sono un operaio. Ho lasciato le scuole dopo la terza media. Trovo che il mio lavoro sia alienante ma non perché non prendo parte a tutto il ciclo di produzione. Lo trovo alienante non solo perché è ripetitivo e devo fare sempre gli stessi gesti. Anche se fossi un artigiano che crea totalmente un utensile mi sentirei alienato. Trovo che il lavoro manuale sia alienante. Mi piacerebbe creare con la mia mente. Inventarmi storie oppure disegnare. Allora mi sentirei veramente autorealizzato. Sul lavoro inoltre avevo un pessimo rapporto con il mio capoofficina. Mi faceva delle sfuriate. Mi umiliava di fronte ai colleghi. Non lo sopportavo. Il mio capoofficina si chiamava Elio. Aveva 53 anni, una moglie, due figli che studiavano ingegneria. Mi trattava come uno schiavo. Dovevo sempre fare finta di pendere dalle sue labbra. Era insopportabile. Era intrattabile. Era il classico individuo caratteriale. Talmente metodico e preciso da rasentare la patologia. Ero costretto a tenere tutto dentro. Mi chiamo Mario. Ho 42 anni. Facevo l’operaio. Sono in carcere da tre giorni. Aspetto il processo. Qui mi trovo meglio. Non provo più fatica mentale nè fisica. Psicologicamente sono rinato. È da tanto tempo che meditavo quel gesto. Mi impressiona sempre la vista del sangue. È per questo motivo che ho avvelenato il mio capoofficina, mettendo l’arsenico nel suo caffè, che mi faceva sempre andare a prendere al distributore automatico delle bibite.

Informazioni generali

  • Categoria: Poesia

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  • Archiviata il: 29/05/2019

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