Prose semplici 3 di Davide Morelli



SENZATETTO:
Ho più di cento miliardi di neuroni nel mio cervello. Non capisco come mai il mio cervello non lo vuole nessuno a lavorare e sono disoccupato. Forse ci sono macchine e robot che possono fare meglio il lavoro che facevo un tempo. Forse vogliono neuroni più giovani perché li considerano più efficienti. Abbiamo più di duecento miliardi di stelle nella nostra galassia. Non capisco come mai, con tutto il posto che c’è, non ho una casa. Eppure abbiamo il progresso scientifico. Dovremmo avere immense potenzialità. Invece no. Questo mondo è spietato. Tutto in questo mondo obbedisce alle leggi dell’economia. Tutto dipende dalla legge della domanda e dell’offerta. Tutto in questo universo obbedisce alle leggi della fisica. Tutto qui è trasformazione. Aspetto di diventare qualcosa altro. Aspetto che i miei atomi si disperdano nell’universo. In attesa di tutto ciò vorrei, non dico sostegno psicologico, ma sostentamento. Vorrei acqua e cibo per campare. Ho perso tutto, ma non dite che sono già fortunato perché c’è anche chi non ha mai avuto niente. Sono un barbone. Prima avevo un lavoro, una casa, una macchina. I miei figli non mi riconoscono più. Non vogliono più vedermi. Sono stato un lavoratore, un figlio, un marito, un padre. Ed ora? Sono povero, solo e disperato. Sono tagliato fuori da tutto e da tutti. Non trovo un posto né una occasione per ricominciare. Il problema maggiore è procurarmi da mangiare. Un altro è ripararmi dalle intemperie e dal freddo. Un altro ancora è lavarmi. Un altro è sopportare il mal di denti. Inoltre vorrei anche io un poco di calore umano. La tristezza mi assale durante le feste quando tutti brindano, mangiano e festeggiano con qualcuno. Io non ho più amici né familiari. Più volte ho rimuginato. Più volte ho pensato all’uomo in rivolta di Camus. mi piacerebbe lottare contro il male e contro la morte. Ma è pura filosofia con le sue astrazioni. Dove è la solidarietà teorizzata allora da Camus? Quel saggio è del 1951. Troppe cose da allora sono cambiate. Torno ai miei problemi, scusate la digressione. Lotto ogni giorno per sopravvivere. Mi arrangio. La mia vita è un escamotage continuo. Mi tocca fare la carità e chiedere elemosina. Qualcuno mi considera fortunato perché io vivo di stenti in questa società occidentale, ma nel terzo mondo i bambini muoiono di fame. Alcuni sostengono che sia selezione naturale. Io la chiamo invece necrofilia. D’altronde cosa posso fare io? Assolutamente niente. Sono i potenti che decidono. Se i potenti sono necrofili non è colpa mia. Sono disoccupato e sono senzatetto. Forse è la via Lattea la mia casa; forse contemplare la natura e guardare il cielo è il mio lavoro. Forse sarà per sempre un lavoro non retribuito.

LA BOMBA:
La mia distrazione mi ha fatto dimenticare più volte gli ombrelli dappertutto quando piove. Ho perso diverse volte le chiavi di casa. Più volte la mia sbadataggine mi ha fatto scendere ad una stazione successiva quando prendevo il treno. Una volta avevo preso l’autobus che portava alla stazione dei treni. Ero a Padova e dovevo ritornare a Pontedera. Avevo con me una borsa con i libri ed una valigia con dentro dei panni sporchi e altri indumenti. Me la dimenticai sul treno, ma me ne accorsi soltanto quando me lo fecero notare, una volta arrivato a casa. Ma non sapevo quel che che aveva scatenato la mia distrazione innocente. Devo premettere che era il 1992. Era il tempo delle stragi di mafia, delle bombe agli Uffizi, a Roma, a Milano. Per la cronaca io e mio padre eravamo passati dopocena nella stessa stradina in cui avvenne la strage a Firenze una settimana dopo. Potevo essere io una vittima. Fu solo il caso. Se fosse avvenuto sarei stato per sempre nella memoria collettiva una vittima della mafia ed uno studente fuori sede. Fu solo il caso a decidere diversamente. Era una strategia della tensione precisa da parte di Cosa Nostra, ma sopratutto da una classe dirigente del Paese che non tollerava di essere stata rivoltolata come un calzino dal circo mediatico e giudiziario. Almeno io la penso in questo modo. Non era soltanto la mafia. Erano altri i mandanti a mio avviso. Erano persone altolocate, che non sopportavano di aver perso il potere. Questa è la mia ricostruzione. Questa premessa era doverosa, anche se non voglio dilungarmi. Comunque la settimana dopo incontrai a Padova una mia compagna di facoltà, che seguiva con me le lezioni di statistica. Parlavamo del più e del meno. Parlavamo degli esami che dovevamo dare alla prossima sessione di esami. Ad un certo punto lei mi disse che aveva l’impressione che avrei preso un bel voto a statistica perché le sembravo un tipo preciso e quadrato. Mi implorò anche di passarle il compito perché per lei quell’esame era una scoglio e che digeriva malamente i numeri. Mi diceva anche che lei avrebbe voluto fare la psicanalista e che la statistica non le sarebbe affatto servita nel suo lavoro. Io le dissi di non confidare troppo in me. Le menzionai la mia eccezionale distrazione e le ricordai che mi ero dimenticato una settimana prima una valigia sull’autobus e non me ne ero accorto. Me lo avevano fatto notare solo una volta che ero giunto a casa. Lei allora si mise a ridere a crepapelle. Prima mi domandò il numero dell’autobus su cui avevo lasciato la valigia. Quindi mi chiese in che giorno e che ora avessi preso l’autobus. Quando le dissi il numero dell’autobus, che avevo preso il Sabato alle undici di mattina, lei si mise a ridere ancora di più. Si sganasciò dalle risate. Quando io le domandai che cosa avesse da ridere lei mi spiegò tutto. Mi disse che lei era salita una fermata dopo quella della stazione per andare a casa. In pratica lei era andata a fare compere in un negozio di alimentari e aveva preso l’autobus per tornare a casa. Dopo qualche minuto una vecchia chiese agli altri viaggiatori di chi fosse la valigia incustodita. Una volta saputo che non era di nessuno dei presenti lo disse all’autista, che si fermò e chiamò subito la polizia. L’intera Italia aveva paura degli attentati. C’era la psicosi delle bombe. Tutti iniziarono a pensare che si trattasse di una bomba e lasciarono subito l’autobus, andandomene a gambe levate ed incamminandosi di buona lena verso le proprie destinazioni. Chissà cosa pensarono gli artificieri quando videro che dentro la valigia c’erano dei panni sporchi?!?

SPEAKERS’ CORNER:
Studiavo a Padova e andando a giro per la città talvolta mi imbattevo in personaggi bizzarri e bislacchi, che suscitavano la mia curiosità giovanile. Mi affascinavano i barboni allora. Pensavo che fossero dei santi laici. Per me erano loro i veri beati, indipendentemente dal fatto che avessero scelto o meno quel particolare tipo di vita. Vicino al Pedrocchi in pieno centro ogni mattina e ogni pomeriggio teneva discorsi un uomo sulla cinquantina. Diceva di essersi laureato in scienze politiche. Diceva anche che aveva venduto la sua azienda per tenere discorsi pubblici ogni giorno. Viveva di rendita. Erano discorsi ma mai dei veri e propri comizi. Io rispettavo quell’uomo che aveva mollato tutto per fare una cosa in cui credeva ciecamente. L’uomo non chiedeva mai elemosina. Non fu mai un questuante. Era un uomo di media statura e con dei capelli neri. Vestiva in modo dimesso: maglia, jeans e scarpe da tennis. Portava un paio di occhiali. Non aveva niente di singolare il suo aspetto e nemmeno il suo modo di vestire. Se non si fosse messo al centro dell’attenzione in quel modo sarebbe stato uno dei tanti e sarebbe passato inosservato. Faceva il suo discorso, che durava circa un’ora. Non era logorroico. Non aveva la parlantina. Non utilizzava alcuna retorica. Non era un grande oratore, anche se aveva senso critico e contenuti. Quando lo ascoltavo non mi curavo della sua oratoria ma della qualità delle sue argomentazioni. Tutto sommato lo rispettavo e lo stimavo una persona intelligente. Non strillava. Usava un megafono. Era privo di prosopopea. Non era snob. Non aveva uno stile affettato. Non aveva tic ma si passava continuamente la mano nei capelli. Una volta una signora ingioiellata che ascoltava il nostro di punto in bianco incominciò ad inveire. Guardandola bene mi accorsi il vero motivo: un piccone le aveva cagato in testa. Lei aveva cercato di pulire con un fazzoletto ma dovette andare nel bagno di un bar e guardarsi allo specchio per pulirsi bene. Erano gli anni novanta. Quell’Estate avevo conosciuto Antonella, una segretaria milanese di un notaio. Ero uscito con lei quando aveva fatto le vacanze in Toscana. Voleva che partissi con lei e una sua amica in Irlanda. Io però non volevo spendere soldi. Già li spendevo per studiare fuori sede. Lei mi aveva inviato una cartolina in cui c’era scritto: ” tu non sai cosa ti sei perso!”. In fondo sapevo che andava bene così perché non era la mia ragazza ideale. A onor del vero mi attraeva poco anche sessualmente. Erano i primi anni novanta. Berlusconi doveva ancora scendere in politica: la cosiddetta “scesa in campo”. Allora era ancora un imprenditore. Eppure questo oratore aveva già intuito cosa sarebbe accaduto in futuro o almeno in parte. Sosteneva tutto infervorato che c’era il rischio di una dittatura e che il golpe sarebbe avvenuto senza spargimento di sangue. Il golpe secondo lui sarebbe avvenuto quando un leader politico carismatico si fosse impadronito delle televisioni pubbliche e di quelle private. Oggi sappiamo che soltanto in parte è andata così. In Italia non c’è mai stata una vera dittatura ma un grande accentramento di potere, che ha determinato un caso anomalo in tutta Europa. Molti presenti rimanevano interdetti o quantomeno increduli rispetto a quello che diceva l’oratore. L’uomo però non ammetteva contraddittorio. Nessuno poi voleva mettersi a discutere con lui. Da molti era considerato un tipo strano. Io lo ascoltavo sempre attentamente insieme a molti curiosi più o meno concentrati. Ora sono passati tanti anni. Mi chiedo talvolta che fine abbia fatto. Non so nemmeno se è ancora vivo. Di tutto si poteva dire di quell’uomo ma non che non era stato lungimirante. Ora possiamo affermare che aveva previsto molto, anche se non tutto. D’altronde nemmeno presunti veggenti e sensitivi riescono mai a prevedere tutto. Lui però non anticipava i tempi grazie al sesto senso ma alla sua logica. Di una cosa sono certo: i suoi pensieri mi hanno influenzato molto di più di quelli dei professori universitari che ascoltavo nelle aule universitarie. Forse questo si spiega con il fatto che ero giovane. In fondo dovrei considerarlo per quel che era: un semplice oratore.

MISTERO:
Che mistero la vita! Da bambino ho conosciuto un mio bisnonno che era degli ultimi dell’Ottocento. Ma ho anche visto nascere bambini nati nel duemila. Quante generazioni e quante epoche di mezzo! Minuto dopo minuto si fa un’ora. Ora dopo ora si fa un giorno. Giorno dopo giorno si fa un anno. Anno dopo anno si fa una vita. Istante dopo istante si fa una vita. Di quanti istanti è fatta una vita? Per quanto tempo ancora saremo rimasti sulla scena? Le vite si sfiorano, si intrecciano, si combaciano, si compenetrano, si aggrovigliavano, si allontanano, si evitano. Non sapremo mai in questa vita se le nostre vite sono segmenti o rette, che proseguono all’infinito. Non sapremo mai chi è dalla parte del torto e chi dalla parte della ragione. Non si può far altro che presumere. C’è chi dice che rimaniamo sempre gli stessi e chi invece dice che cambiamo e siamo diversi. Io preferisco dire che continuamente ci rinnoviamo. Ero lì che mi ricordavo le parole di un sognatore, che voleva abbattere muri e costruire ponti. Ma è anche vero che senza muri non ci sono case e che in questo paese i ponti crollano. Così pensavo ai misteri delle nostre vite, mentre camminavo sul ponte. Era notte fonda e la luna si rifletteva nel fiume. L’immagine era un poco sfocata perché la pioggia batteva nel fiume e l’acqua era anche smossa dal vento. A quell’ora erano in giro solo coloro che vivevano di espedienti, come quelli che rubavano il rame là alla ferrovia. Non c’era formula che riassumeva l’esistenza. Non c’era metafora calzante che la imprigionava. Se ti parlava la luna eri pazzo. Se tu parlavi alla luna invece non era detto che tu fossi pazzo. Potevi anche essere innamorato. C’erano cani che abbaiavano alla luna. La luce delle stelle del resto era solo un tranello per chi si considerava saggio. La luce delle stelle, prima o poi, irretiva chiunque. Il cielo era orbo. La luna era il suo unico occhio. Decisi di ritornare a casa. Non c’era nessuno nelle immediate vicinanze. Che notte insonne! A quell’ora ragazze e spose facevano indisturbate all’amore con i loro amanti ufficiali, ufficiosi e clandestini. La vita era uno splendido garbuglio. Il mondo continuava a girare, nonostante tutto.

AMARCORD:
Che cosa mi resta in forno delle avventure estive? Che mi resta della vedova di Brescia oppure di quella divorziata di Padova? Davvero ben poco. Forse niente. Invece ricordo con piacere le vacanze passate con il mio babbo. Mio padre è un poco grassoccio. Diciamo in modo più eufemistico che è in sovrappeso. È alto 1,75 centimetri. È quasi calvo. Ha la fronte alta. Porta gli occhiali. È un ex fumatore. È un perito industriale. È un uomo molto pratico. È un tecnico. Non ha mai imparato ad usare il pc. Ognuno d’altronde ha le sue resistenze al cambiamento. In compenso ora utilizza il tablet. Discute spesso con mia madre. Spesso l’argomento per cui discutono è la cucina. Mio padre ha vinto dei premi come cuoco. È un suo hobby. Non ha mai lavorato nella ristorazione. L’hanno anche messo sul giornale. Lui ha ritagliato quei trafiletti e li ha conservati. Mio padre dà del tu a tutti e tutti gli danno del tu. Quando era ragazzo abitava a Treggiaia e la scuola superiore era a Pisa. Ogni giorno era una avventura recarsi a scuola. Mi ha sempre detto comunque che lui ha fatto parte di una generazione tutto sommato fortunata. È stata la prima generazione che non ha visto la guerra e inoltre non c’era la crisi economica ai suoi tempi. Mio padre è nato nel 1946. Suo padre era un operaio della Piaggio. Sua madre era una casalinga diabetica ed anche lui è diabetico. Ciò nonostante ama molto i dolci e spesso li mangia. Per alcuni anni ha lavorato come impiegato alla Piaggio. Poi ha fatto per quaranta anni il consulente aziendale. È pensionato ma è da trenta anni consigliere di una banca. Al momento non è il consigliere più vecchio ma è quello con più anzianità di servizio. È una piccola banca però è da anni la più solida della provincia di Pisa. Con lui mi trovo molto bene. Mi sa ascoltare e mi sa capire, che non sono cose da poco. Ha una ernia al disco. Spesso gli sente la gamba destra e spesso ha il male di schiena. Fa una vita abbastanza sedentaria. Un tempo andavamo ogni giorno a camminare in un percorso vita. Ora non camminiamo più. Non abbiamo mai fatto vacanze di una o due settimane in un posto. Ogni estate dal 2010 al 2014 facevamo due viaggi di due giorni. Ogni volta pernottavamo una notte sola in albergo e poi la mattina successiva ripartivamo per casa. Il primo viaggio che ho fatto con mio padre è stata una vacanza nel Pordoi. Mi ricordo che si fermò la macchina al sedicesimo tornante e non sapevamo come fare. Poi per grazia ricevuta non si sa come ripartì. Avevo diciassette anni allora. Facemmo anche quando ero diciannovenne una vacanza di due settimane in Ungheria. Ci fermammo a Budapest ma solo per un giorno. Per il resto del tempo restammo in una cittadina lì vicina. Nell’albergo c’erano tutte le finaliste di Miss Ungheria. Allora gli ungheresi erano poveri. Uno su dieci sapeva l’inglese, che era la loro terza lingua. Tutti sapevano il russo ma nessuno voleva parlarlo più dopo quello che era successo. Per i miei diciannove anni feci anche una vacanza in Spagna per due settimane con dei miei coetanei di Treggiaia. Stemmo tutto il tempo in una località vicino a Barcellona. Ci sbronzavamo tutte le sere in discoteca. Torniamo comunque ai tempi più recenti. Mi ricordo quando siamo stati ad Alba e gli raccontavo di Fenoglio. Oppure quando siamo stati in Friuli ed abbiamo mangiato la granseola. Volevamo vedere Lignano ma poi si fermammo soltanto a mangiare a Latisana. Fu una fregatura. Il fritto di pesce era indigesto e surgelato. Quella volta poi siamo passati anche dal Trentino in cui ci aspettavamo un clima più mite ed invece era un caldo torrido ed anomalo. Mi ricordo che a Trento ci fermano ad un bar e chiedemmo informazioni al titolare. Lui ci rispose che non voleva parlare con gli italiani e che era un altoatesino. Lui si sentiva austriaco. Si sentiva uno straniero. Per me era solo uno stronzo. Il Trentino era bello con i suoi laghi, anche se a Bolzano c’erano più insegne in tedesco che in italiano. Inoltre come ho già accennato la gente non era molto ospitale. Il primo anno di università avevo frequentato nel primo semestre una ragazza di Bolzano, che poi si mise con un milanese. Cercava un buon partito e lo trovò. Mi disse che a Bolzano a quei tempi molte commesse e molti proprietari di negozi parlavano in tedesco. Comunque non l’ho più rivista quella ragazza. Smise di fare psicologia e si mise a lavorare alle poste. Parentesi chiusa. Mi ricordo anche quando andammo nelle Langhe. Mangiammo la bagna cauda. Passammo anche da Torino e pranzammo in una pizzeria vicino alla Grande Madre. Torino aveva un suo fascino ed era anche deserta perché eravamo in pieno agosto. In quella pizzeria mangiai un risotto con il Castelmagno, ma era davvero scadente quel formaggio che mi diedero. Mi ricordo quando andammo all’Aquila dopo il terremoto. Cenammo nel centro. Andammo anche a vedere le cento fontanelle e parlammo del principio dei vasi comunicanti. Ci perdemmo e non riuscivamo più a trovare l’albergo. Chiedemmo aiuto ad una signora che era una poliziotta in quel momento non in servizio e ci aiutò perché chiamò una pattuglia e ci portarono davanti al nostro albergo. Mi ricordo di quando andammo nelle Marche. Vedemmo la costa. La linea ferroviaria era molto vicina alla spiaggia. Vedemmo anche Recanati. Nelle Marche si faceva delle grandi mangiate e si mangiava davvero con pochi soldi. Mi piacevano molto gli arrosticini. C’era un ottimo rapporto qualità-prezzo. Mi ricordo quando andammo ad Ostia ed ad Anzio. Anche lì la vita era meno cara che da noi in Toscana. L’ultimo viaggio di due giorni l’abbiamo fatto quando ci siamo recati ad Asiago, un bellissimo altopiano in cui faceva molto fresco e si mangiava davvero bene. Lì le persone erano ospitali e non c’era bisogno del condizionatore. Con mio padre sto sempre bene insieme. Possiamo stare anche senza parlare ma il silenzio non è mai pesante e non è mai segno di incomunicabilità. Negli ultimi tempi abbiamo smesso di fare viaggi di due giorni e ci limitiamo ogni estate di andare tre o quattro volte a fare dei giri nelle province vicine. Prima andavamo a mangiare in Garfagnana, dove io mangiavo sempre i funghi con pochi euro. Ultimamente siamo andati a mangiare i panegacci ad Aulla. Entrambi siamo molto affezionati al nostro lagotto romagnolo. Un tempo lo potavamo ogni giorno a fare delle belle passeggiate sull’argine. Mio padre è un punto di riferimento per me. Ogni giorno ci frequentiamo. Quando avevo il negozio lui ogni giorno dopo aver staccato dal lavoro veniva a trovarmi in negozio. Mi passava meglio il tempo. Mi aiutava e mi faceva compagnia. Quando andai a dare i primi tre esami a Padova venne anche lui. Mi accompagnò. Tutto ciò non lo scorderò mai.

GIOVINEZZA:
La giovinezza passata tra il Veneto e la Toscana era stata una sommatoria di piccoli dolori e di momenti esaltanti. Da un lato i no traumatici delle ragazze di cui mi ero innamorato e dall’altro le conquiste estemporanee di ragazze di cui non me ne importava molto: insomma ero stato preso in giro dal gentil sesso e avevo preso in giro il gentil sesso. Era però difficile fare un bilancio definitivo. Quando è che avevo smesso di essere giovane? Difficile anch’esso dirlo e stabilirlo. Forse quando mi ero laureato. Forse in uno dei tanti viaggi in treno. Forse durante l’ultima delusione sentimentale: l’ultimo no. Se è vero come alcuni sostengono che i no sono frustranti però aiutano ad avere un senso del limite io allora avrei dovuto essere coscienzioso e responsabile per tutta la vita; ma dubitavo fortemente di tutto ciò. La mia giovinezza era stata a livello psichico una continua ricerca di un equilibrio interiore. A livello sentimentale era stata la spasmodica ricerca di una dolce metà. Non avevo trovato niente di tutto questo. Forse la mia giovinezza era stata un costante girare a vuoto. Mi ero imbattuto in una fauna studentesca che apparentemente era lì per il famigerato pezzo di carta da portare ai genitori e poi in realtà reclamava il sacrosanto diritto di divertirsi, acculturarsi al di fuori degli schemi precostituiti, scopare, viaggiare, ballare. Erano stati scritti tre romanzi sulla realtà studentesca in cui mi riconoscevo: “Porci con le ali”, “Altri libertini” e “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”. Forse questi tre romanzi avevano già detto tutto sul mondo studentesco italiano. Non sentivo l’esigenza di un libro di memorie. Alcuni amici erano morti e i morti andavano sempre rispettati. Avevo vissuto tre anni a Padova da studente fuori sede ed un anno nella bassa padana da obiettore in un collegio di preti. Il primo anno avevo abitato in un appartamento in cui eravamo quattro studenti ed una affittacamere spilorcia settantenne, che ci controllava totalmente. Non voleva che portassimo le ragazze nell’appartamento perché aveva paura che le mettessimo incinte e si sarebbe sentita colpevole dinanzi ai genitori di tale sciagura. Non voleva che facessimo il bagno perché non voleva accendere il boiler. Insomma voleva risparmiare. Preferiva che andassimo a nutrirci alla mensa universitaria perché così non avremmo sporcato la cucina. Parlava e bestemmiava in dialetto veneto. Ci voleva fare da nonna, anche se non c’era alcun legame tra di noi. Gran parte dei soldi le intascava in nero ma non aveva paura dei controlli perché un suo parente prossimo era magistrato. Degli altri tre studenti solo uno si salvava: Simone che era un bravissimo ragazzo, che studiava chimica. Gli altri due erano studenti di ingegneria, che mi prendevano in giro perché dicevano che psicologia era una facoltà facile e perché ero terrone. Mi chiamavano Pisa. Una volta uno di loro aprì all’improvviso la porta della mia stanza e cacciò un urlo. Mi fece prendere un bello spavento perché io ero lì tranquillo che stavo studiando. Non me l’aspettavo assolutamente. Questi due frequentavano le lezioni ma non studiavano a casa. Di conseguenza non riuscirono a dare esami e non si sono mai laureati. Ad uno di questi due quell’anno morì il padre. Era un architetto vicentino. Alla affittacamere diede la notizia la madre. La spilorcia disse di andare subito a casa al ragazzo ma non volle dirle il motivo. Non so se fece bene o fece male. Suo padre era un architetto più che sessantenne. Aveva avuto lui in tarda età. Tra i due era quello più decente, pur avendo una mentalità abbastanza chiusa ed pur essendo prevenuto con chi non era suo corregionale. D’altronde erano ragazzi con la mentalità comune veneta. Erano i tempi di Bossi e di Miglio, di Roma ladrona, di più giù del Po sono tutti terroni, eccetera eccetera. Stetti un anno in quell’appartamento perché poi me ne andai. Trovammo un altro posto io, Simone ed un altro ragazzo bellunese che studiava Scienze naturali e si chiamava Riccardo. Non avevamo affittacamere che vivevano più con noi ed eravamo finalmente liberi. Il primo anno avevo conosciuto in facoltà delle persone piacevoli e simpatiche. Erano Luca della provincia di Siena e Annachiara di Lucca. Con loro andavo dopo le lezioni ai giardini a fumare sigarette. Ma passiamo ora all’anno passato nella bassa padana. Nel tempo libero ci trovavamo spesso a casa di Tomaso, che era l’unico obiettore del posto. Oppure lo seguivamo nei pub quando faceva i concerti perché suonava in un gruppo rock. La bassa padana si caratterizzava per la ristrettezza di vedute dei suoi abitanti. A Rovigo guardavano Padova. A Ferrara guardavano Bologna. Padova era inospitale. Bologna era la città aperta per eccellenza che accoglieva a braccia aperte gli studenti meridionali. Erano due realtà socioculturali completamente differenti. Bologna era irraggiungibile per me. A livello logistico non potevo andarci di notte. Sarebbe stato un caos ritornare all’alba. Poi Bologna era comunista ed io ero un liberale, anche se non liberista. Non sarei stato ben visto. Inoltre come avrei potuto stringere amicizie per una notte? Comunque nella bassa padana conobbi Luisa, una maestra che allora faceva la rappresentante ed aveva quattro anni più di me. Ci frequentavamo tutte le sere. Eravamo travolti dalla passione, anche se ci sfuggiva il senso di tutto ciò. Durò soltanto un anno la nostra storia clandestina. Poi lei continuò a stare con il suo ragazzo, che era veronese ed era ben visto dalla sua famiglia. So che lei poi ha vinto il concorso ed è diventata maestra. Anche quell’anno comunque strinsi amicizia con alcuni obiettori quando c’erano dei raduni per tutti i collegi del Veneto. Ricordo che conobbi Emiliano di Verona, che faceva il pr nelle discoteche. Suo fratello minore invece faceva il dee jay. Suo zio faceva la guardia del corpo ed aveva lavorato anche per Simona Ventura. Mi ricordo che ad un raduno a Bardolino andammo con la macchina del direttore che non voleva assolutamente che ci fumassimo dentro. Inutile dire che ci fumammo tutto il tempo ma con i finestrini aperti e al ritorno non si accorse di niente. Ma ora veniamo alle conclusioni. Difficile dire cosa sia la vita. Forse viene decisa da tutta una serie di combinazioni e coincidenze che ci sforziamo a chiamare destino, sorte, fortuna. Difficile trovare un senso agli incontri che abbiamo fatto, alle persone in cui ci siamo imbattuti sul nostro cammino. A volte non serve essere persone giuste ed incontrare persone giuste ma bisogna trovarle nei posti giusti ed anche nei momenti giusti. Inutile programmare e studiare la vita come se fosse una scienza esatta. Difficile vivere la vita ed impossibile definirla in modo esaustivo. Ognuno può cercare un senso alla sua vita, che per alcuni versi è già incomprensibile per noi stessi: figuriamoci per gli altri. È così difficile capire la vita degli altri. È così difficile che gli altri capiscano la nostra. Ognuno ha la sua storia unica. Ognuno porta in sé una sua verità. Ognuno può recriminare per gli errori fatti e per quelli subiti. Ognuno porta il peso delle ingiustizie e delle contrarietà. Tutti giudicano le vite altrui, anche coloro che dicono di non averlo mai fatto e di non volerlo fare mai. Siamo gomitoli che non si dipanano. Il mondo è un caleidoscopio. È già difficile viverla la vita reale. Figuriamoci a vivere una vita immaginata! Da giovani sprechiamo tantissima vita e disperdiamo tutta la nostra energia in attività inutili. Nella maturità non vorremmo perdere nemmeno una briciola, ma la vita viene dissipata ugualmente. Il mondo è un groviglio inestricabile ed immenso di esistenze. Inoltre trarre tesoro dalla propria esperienza significa soltanto copiare goffamente il passato ed è meglio affidarsi alla fantasia perché tanto sarà la vita stessa a scombinarci tutti i piani e le nostre idee.

Informazioni generali

  • Categoria: Poesia

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