“Puntoimproprio”, un luogo simbolico dove si incontrano dimensionidiverse e si crea una nuova lettura della realtà, un punto ditensione e di incertezza, che apre a molteplici interpretazioni.
È la pittura diGianni Baccàro,artista napoletano per nascita, ma cosmopolita nella visione. Unlavoro che oscilla tra l’ironicoe il drammatico,tra lampi di coloreacceso e terrebrune, verdi cupi, ocra stratificati,come su muriscavatidalla vita, incisi daltempo. Una pittura che nonrincorre la seduzione dell’attimo, ma si pianta nel terreno dellamemoria, tra radici profonde, fratture della storia e frammenti difuturo.
Baccàro nondipinge immagini, ma raccontisospesi, popolatida icone e simboliche attingono alla tradizione — mitica, religiosa, culturale —per riscriverla in chiave contemporanea. Le sue figure, spessocentrali, imponenti, sembrano maschereatemporali,immobili nella posa ma immerse in una narrazione fluida, quasiliturgica. Non sono mai sole: intorno a loro si muove unacostellazione di segni, allegorie, simboli,riferimenti che scavano nella memoria collettiva, rievocando unastoria dell’uomo che è passata, presente e immanente, inscritta inogni gesto, in ogni simbolo, in ogni frammento di realtà.
Ogni quadro di Gianni Baccàro è come una pietrastratificata: su fondi bruni e densi — che possono ricordare unacripta medievale, una piazza d’armi, un fondale scenico checustodisce il silenzio prima dello spettacolo — si innestano traccecromatiche e segni graffiati, simili a scritture antiche cheaffiorano dal fondo: tracce che ampliano e complicano il racconto,senza implodere mai nel caos. Al contrario, ogni gesto è calibrato,ogni tensione cromatica è trattenuta da una struttura invisibile,un’architettura mentale e simbolica che regge la composizione.
La sua è una pittura colta, consapevole,stratificata, ma mai retorica. È pittura che interroga, che formaconcetti e ne dissolve i contorni. Che guarda al passato non pernostalgia, ma per raccoglierne la forza generativa, come farebbe unalchimista che fonde metallo antico per ottenere una lega nuova. Cisono echi di classicità, rielaborati con uno spirito inquieto econtemporaneo. L’artista è, in questo senso, un cartografodell’immaginario contemporaneo, e le sue opere sono mappe complessein cui il sacro, il profano, l’ironico e il drammatico siintrecciano.
I titoli, spesso articolati e visionari,funzionano come legende di queste mappe simboliche: non spiegano, maorientano. Aprono varchi interpretativi, suggeriscono direzionipossibili, senza mai chiudere il senso.
Il suo segno pittorico si muove tra figurazione eastrazione, tra geometrie latenti e gestualità fluide. Non c’èun’unica via stilistica, ma un’alternanza ragionata tra ordine eistinto, tra strutture mentali e slanci emozionali. Spesso, il coloreappare come un’intuizione, un lampo che si apre nella materia, epoi si ritrae, lasciando spazio a un silenzio visivo che amplifica ilmistero. Sono opere che sembrano affiorare dal fondo di un gorgo:visioni che respirano sott’acqua, dove il tempo è sospeso e ogniforma è insieme compiuta e in divenire.
Dipingere, per Baccàro, non è mai “affermare”,ma indicare una soglia, aprire un varco, proporre un dubbio. Einfatti, in ogni suo quadro, c’è sempre una tensione filosofica,una riflessione sull’identità, sul ruolo dell’immagine, sulsenso del tempo.
L’ironia che abita queste opere non è maicaricatura o sarcasmo, ma un sentimento profondo, antico, quasiteatrale. È la consapevolezza, tutta umana, che le grandi mascheredella storia — quelle del potere, del desiderio, della fede —sono destinate a ripetersi, trasformarsi, ma mai a scomparire. Ed ècon questa consapevolezza che Baccàro dipinge: critico ma fiero,amaro ma lucido, radicato nel presente ma con lo sguardo rivoltoaltrove.
Il risultato è una pittura viva, potente,esigente. Che non si accontenta dell’apparenza, ma pretende dalfruitore attenzione, dedizione, immersione. Che chiede di essereletta, ascoltata, meditata, come un testo sacro o un enigma visivo.Una pittura che sfida, sì, ma che in fondo accoglie: perché ilracconto che scorre tra quelle figure e quei simboli è anche ilnostro. E perché, alla fine, solo l’arte — come scrive l’artistacon i suoi gesti — può ancora opporsi al silenzio delle cose.