Tra folklore e avanguardia i trofei di Baccàro

Tra folklore e avanguardia
i trofei
di
Baccàro
In un suo pensoso scritto Franco Ruinetti ha voluto così definire l’amico pittore Gianni Baccàro: “...nelle sue opere si trovano forme, colori, riferimenti e simboli che ci conducono alle antiche civiltà (natura, sensazioni, sentimenti intatti) a quando il mito e il divino coloravano il mondo di magia”.
Fin dal 1975, quando l’artista cominciò ad affacciare la fantasia ad immagini cosmiche e musicali,senza dubbio in lui s’era accesa una luce visionaria; ma allora Baccàro stava a Napoli e non c’è nemmeno bisogno di andare troppo indietro nell’iter della sua arte per puntualizzare il gusto o il pacchetto visuale in cui si moveva. Già in “T come tempio”, tecnica, mista, collage, smalti su tela (1991) si riscontra una vaga memoria dell’ “oggetto trovato” così come a Napoli e nel Sud veniva adoperato dopo la Pop Art, ma con elementi decorativi per correzione, a far raffinati legami verso la pittura, carte di giornali stese alla maniera dei primi dada (sulle metope del tempio), bianchi contornati di bande di merletto, uno sfarzo cromatico, un caos che tende al trofeo, un clamore in certo senso ottimistico, dove ogni astrazione di “ismo” deve fare i conti con l’insorgenza popolare e folkloristica: fra il tempio e il teatrino (una sua opera di questo momento è intitolata “Teatrino napoletano”) dove avanguardia e Spaccanapoli si mescolano, quasi non si distinguono più l’una dall’altra.
...E cosa dire di “Arancio” (50x90) -il titolo prende le mosse dal colore alla periferia del quadro- il quale è più ‘scritto’ che dipinto, più sfumato che chiaroscurato, più raggiunto per accumulo che per sintesi, come se l’impeto della fantasia trovasse poi un ostacolo nell’inventario, come se l’inesauribile fonte delle immagini mentali si bloccasse alle esigenze pratiche di una resa artigiana?
Eppure oggetti definiti e sfumature, incastri di ombre, creste di luci e costruzione monumentale si scontrano e si amalgamano, il pittore ora lasciando in superficie sottili lingue iridate, ora penetrando nel cuore dell’icona, al di là del fondo arancio portante. Anche “Torrettamedici” è una tela vincente sulla ressa dei particolari:f oglie secche, colomba, stemma e quel “blocco monolitico -mi diceil pittore- sospeso in uno spazio quasi metafisico, pronto ad accettare qualsiasi scrittura”. Della stessa misura di “Arancio” convince ad una seconda lettura: del resto, tutte le opere di Baccàro non sono violette o seni al vento, la loro verità poetica è nascosta.
Un primo sguardo più volto alla persona umana che alle cose -ma come dirò in seguito, l’artista proviene da una serie di figurazioni ove le persone e in ispecie la donna sono protagoniste- è in “Donna”, davvero un gran bel quadro. Per riconoscere l’altro sesso, se si vuole, si può trovare al punto giusto del grandissimo volto bianco e azzurro, una bocca. Ma la pittura racconta non la donna, se mai l’atto di cercarla nell’impalcatura o imbastitura dell’immaginazione, fino a che non la ghermisca la fantasia. Icona apparizione, immagine sacra e nascondiglio, gonfalone per fiabe e imprese di leggenda, in quella semplicità della composizione tricolore. Ogni imbastitura grafica si assorbe in una compatta e pur vibrante stesura cromatica.
Ma forse una delle opere di maggiore fantasia e concretezza misteriosa, eppure evidente, tra collage di foto in bianco e nero e pittura nei fisionomici toni timbri, rossi, aranci e bianchi in quel crescere franante dell’immagine dove ogni punto è tenuto da un ‘pazzariello’ dall’orecchio intonato come per una musica da camera, è “Uomoche pensa, ovvero Autoritratto” (Olio su tela 100x120). Qui l’artista, più che in altri dipinti non rimanda a un futuro più limpido e di maggiore sintesi, perché l’analisi portata dal collage è una bella invenzione così com’è, la materia cromatica sobriamente stesa è quella giusta, l’apparizione è insieme provocatoria e affettuosa. Folklore e avanguardia qui pare davvero che segnino un punto d’arrivo nell’autobiografia di Gianni Baccàro….
Marcello Venturoli (dalla presentazione della monografia, 1993)
Marcello Venturoli [Critico d'arte]
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