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ESCAPE ESCAPE

ESCAPE Nella pittura di Lucia Motta, la natura ha un ruolo prioritario, se non da protagonista assoluto: e quanto ciò la collochi al di fuori della pittura di paesaggio, basterà dire che alle vedute d’insieme, alle panoramiche in dissolvenza o addensate in masse la cui intensità restituisca quanto la distanza toglie a proporzioni e peso, Lucia Motta preferisce gli scorci che possono essere anche quelli dietro casa o dell’area incolta presso un luogo di villeggiatura. Non importa. La natura è dappertutto. Anche dove non vorresti trovarla – in un coronavirus, laddove il mondo si è ristretto a parete di casa e estensione superficiale del display. Anche in un interno domestico, la natura incombe: e non c’è da scegliere da che parte stare. Lo stato di assedio non si addice allo stato di natura: sarebbe chiederle un sacrificio di cui non è capace. Non sulla parete di casa per fare da trofeo di caccia dello sguardo di chi ha mirato dalla parte giusta. Perché, appunto, la natura è dappertutto. Nemmeno in divenire, ma in attesa – in agguato, fosse pure: non certo sotto assedio, da cui riemerge sulle cataste delle specie estinte nei corsi e ricorsi di quella che si compiace chiamare, senza averne onta, evoluzione. La visione di una natura ostile o benevola, materna o matrigna, indulgente o vendicativa è appannaggio di ambientalisti sul piede di guerra contro il virus uomo e anti-ecologisti fiduciosi di trovare, male che vada, validi sostituti in cloni virtuali a flora e fauna, in offerta omaggio come da gestori informatici durante la cattività domestica: gli uni e gli altri se ne contendono gli oracoli, da aruspici auto-autorizzati e interessati – e sempre per nobili ragioni. Lucia Motta si lascia alle spalle questi conflitti di interpretazioni e carismi pro(t)iettivi: e quanto agli incanti agro-forestali, li ha lasciati ardere in balia delle sue pennellate di estrema genealogia impressionista, un Impressionismo cauterizzato a dovere da location invernali e segni sferzanti e sferzati per piegarli a dar forma a foglie, rami, corteccia riflessi sull’acqua ombre sul terreno. Non si scorge, nei suoi dipinti, neppure urgenza pànica: al più, sussulti, scatti nell’aria immobile o nel vento, che è l’ombra in movimento di quella stasi in cui non c’è mai tensione, in cui il movimento non è più rapido del percorso dello sguardo che lo abbraccia perché vi trovi l’alito che così ci è donato. Nessuna minaccia da questa natura naturata in pittura che quella in 3 d e noi con essa dobbiamo temere, né la dispersa miriade che accaglia convergendo lungo gli assi visivi di una messa a fuoco più calda della neve e dei colori freddi in cui ci è presentata: Escape . La vastità di un respiro basta a accoglierlo tutto. Rocco Giudice.

PROF. ROCCO GIUDICE
storico dell' arte
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