Cronistoria

La mia vita artistica

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La fortuna che si ha nel crescere bene, qualunque sia la casa che accoglie le tue prime cadute, è legata al senso del pane e agli affetti veri. Siccome nessun sogno è così avido di se stesso da chiederci di non farne parte,ho pensato sin da piccolo che un sogno potesse vestire i panni della realtà. Avevo 15 anni ed ero decisamente poco credibile quando dissi ai miei genitori che avrei vissuto di creatività. Conoscevo già in qualche modo quel sogno ma non sapevo ancora che avrebbe vestito i panni della scultura. Conoscere il valore di un sorriso e sapere di quale odore è fatto un abbraccio può aiutare a non sentirsi soli lungo la tortuosa e difficile strada dell’arte. Con il tempo ho scoperto che la scultura ha di meraviglioso questo far convivere dentro la stessa persona aspetti diversi che concorrono alla medesima cosa. Da intellettuali ci si trasforma in operai delle proprie idee. Quando il sasso diventa qualcosa, ci si accorge che non sarebbe bastato avere solo un’idea e nemmeno saperla soltanto realizzare.
Non lo so se per me è stato più importante frequentare i laboratori dove gli scalpellini lavorano la pietra o l’Accademia di Belle Arti. La risposta facile è che probabilmente, queste due scuole, sono state fondamentali nello stesso modo, completandosi a vicenda. In Accademia ho appreso la cultura e le dinamiche dell’arte. Attraverso le frequentazioni dei laboratori sono stato educato al mestiere. Devo molto ad uno scalpellino di nome Vittorio (Neggio) che mi ha insegnato a tenere gli scalpelli in mano, devo molto alla sua filosofia di uomo saggio che sapeva dare il giusto valore alle cose. Diceva: “Se una cosa la vuoi, devi volerla veramente, perché le cose importanti costano”. Seguendo i suoi insegnamenti ho compreso che l'arte non ammette scorciatoie. Sono gli incontri che si fanno nella vita che determinano il nostro percorso. C'è sempre qualcuno più bravo di noi che può insegnarci molte cose…la fortuna è quella di incontrare le persone giuste.
Si cammina piano nel tentativo di cogliere le sfumature di un pensiero. La scultura si concede alla materia cedendole energia. Paradossalmente l’opera finita è la dissoluzione di un’idea. Essere testimoni del proprio tempo implica atteggiamenti di ascolto dei livelli sensibili che costituiscono l’elemento di contatto con l’esperienza. E' dentro questo lasciarsi trascinare che è contenuto il fare artistico.
Non sono un modellatore. Il mio rapporto con l'argilla risale ai tempi dell'Accademia e non è mai stato un rapporto felice. Potrei dire che mi viene più semplice scavare nella pietra o utilizzare il legno, ma credo che la ragione risieda più nella concezione che ho della scultura. Non sono un modellatore perché, pur avendo insegnato per tanti anni teoria del colore, non sono mai stato un pittore. Dire che la mia scultura è più vicina all’architettura è un modo facile per stabilire distanze e vicinanze. Un mio illustre collega (Teodosio Magnoni) direbbe che ho il senso della terra che non tutti gli scultori hanno. E’ una questione di pensiero plastico: il blocco di pietra custodisce la forma. Non si tratta di inventarla, è semplicemente da liberare.
La vera novità è quella di immettere un oggetto nuovo nel mondo. L'atto di fiducia di chi accoglie l'oggetto estetico in casa propria, nel giardino, dentro una piazza è già l'inizio di quella storia coltivata nel silenzio del mestiere, che se è vero mestiere, predispone l'oggetto per un futuro. Ilmio lavoro è quello di farmi convincere dalle idee che bussano alla porta, è seguirle.
Sono gli aspetti generali che determinano quello che per uno scultore è il mestiere nel particolare. Si nasce digiuni sempre, vale di più ammetterlo perché appena ci si volta indietro ci si rivede giovani alle prese con i sassi che delimitano i campi ai margini delle strade. Gli attrezzi erano quelli che si trovano nelle ferramenta a buon mercato. La materia: tutto quello che si riusciva a rimediare, che pesasse poco e costasse meno. Sono gli inizi della scultura con le immancabile facce scolpite del tufo. Sono gli inizi avvolti e protetti da quella voglia di fare tutta ricurva su quei piccoli tesori che a guardarli adesso parlano teneramente di anni acerbi dentro i quali fruga la memoria per trovare le ragioni di quei sogni fatti di pietra.
Quando si è giovani quello che conta veramente è far somigliare un sasso a qualcosa. Lo scultore è fondamentalmente un operaio delle proprie idee, perché i panni che indossa sono da lavoro e le mani quelle che tormentano ed accarezzano la pietra. Da una parte le idee, i disegni, le pagine scritte; dall’altra il pranzo consumato in fretta, le mani sempre sporche, il gelo degli scalpelli, il legno e la nuda roccia. Padroni e schiavi della medesima cosa ci si accompagna in quel desiderio di vedere insieme cose diverse. Alla fine quando il sasso somiglia veramente a qualcosa non si ha neppure il tempo di guardarlo perché nel frattempo si sta già cercando oltre. A volte si è narratori, altre volte poeti, quello che si ritiene importante è avere sempre cose da dire.

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