Pubblicazioni di Fiorenzo Mascagna

"Teoria e Psicologia del Colore e della Forma"

Introduzione

Siccome cultura è tutto quello che si ricorda, dopo aver dimenticato quello che si impara a scuola, sarà mia cura prevedere amnesie didattiche da guarire con il semplice metodo: “facciamo finta che nessuno vi abbia detto niente e ricominciamo da capo”. Ho sempre detestato quelli che dicono “come certamente saprete” e, quindi, questo sarà uno dei pochi errori che non mi capiterà di fare. Aggiungo anche di aver sempre sfogliato con pigrizia il vocabolario, mi sembra eccessivo che altri lo debbano fare a causa mia. Mi verrà piuttosto facile essere semplice. Quello che mi rallegra è che non mi costerà nessuna fatica.

La scommessa di queste pagine è fondamentalmente una scommessa persa in partenza perché sarà come voler far entrare un tavolo da biliardo dentro una scatola di cioccolatini. Gli argomenti che proveranno a trovare posto in queste poche righe hanno la caratteristica di essere piuttosto voluminosi ed in un certo qual modo complessi. Correndo il rischio di banalizzare la cosa, proverò a spiegare”con patate e cipolle” quello che normalmente richiede altro tempo e ben altri strumenti. Ho insegnato in una scuola senza la campanella, dove il registro non ha mai avuto alcun potere, perché le Accademie di Belle Arti, almeno per quello che riguarda i corsi complementari, funzionano un po' come il juke-box di una volta: se la musica che suoni non è di gradimento, quelli che dovrebbero stare ad ascoltare si alzano e se ne vanno via. Questo significa abdicare da subito a qualunque forma di potere che non sia costituita dalla parola e dagli argomenti che devono essere necessariamente interessanti e digeribili, se non si vogliono vedere passeggiare i ragazzi nel corridoio. Si passa, in sostanza, dall'idea di giudicare, alla consapevolezza di essere giudicati. I confini che sono stati messi lì per dividere la storia dall’arte, dalla scienza e dalle nuove discipline conoscitive, non hanno molto senso, se non quello di permettere ai singoli docenti di coltivare in santa pace i piccoli orti delle specifiche competenze. Si perdoni la leggerezza di chi ha sempre pensato che la cultura senza comunicazione è una inutile stanza chiusa a chiave piena di quadri che nessuno vedrà mai. Gli appetiti si trasformano in sazietà quando gli angoli di incidenza della fame e della tavola imbandita si completano a vicenda.

"I giorni che non ti aspetti"

Prefazione di Alessandra Maiorino

“Conosci te stesso” era il monito che campeggiava sulla porta dell’antro della Pizia delfica. Un monito pieno di saggezza, valido in ogni epoca e ad ogni latitudine. Lo sforzo di conoscere e riconoscere se stesso è il primo impegno necessario per vivere un’esistenza consapevole e l’unica rocca da cui poter estendere il proprio sguardo sul mondo, sperando di comprenderne qualcosa. Identificare se stesso e distinguere il proprio io dal resto degli individui non è atto di superbia, bensì l’unica via attraverso la quale si possa poi intendere ed apprezzare l’altro da sé, senza timore di confondersi o rimanerne soggiogati. E’ un cammino faticoso, pieno di insidie e di canti di sirene che, con carezzevole ipocrisia, cercano di dissuadere dal compiere questa vana fatica, sussurrando che è tanto più comodo e dolce lasciarsi andare, adeguarsi ad essere semplicemente ciò che gli altri vedono in noi, per essere meglio accettati, meglio compresi e non provare più alcun dolore, immersi nell’anestetico abbraccio dell’inconsapevolezza.

I giorni che non ti aspetti narra, con evidenti valenze autobiografiche, il disagevole percorso intrapreso da un uomo per uscire dal proprio guscio, per farsi padrone del proprio destino, strappando da sé quella sorta di etichetta che proprio il destino gli aveva appiccicato addosso e scegliendo egli stesso cosa essere, chi diventare. Non si tratta certo di titanico e roboante eroismo, ma di grande coraggio umano. In un mondo che, mentre ci lusinga con i suoi frenetici ed esaltanti progressi tecnologici, ci stordisce con i suoi continui inviti a sognare di poter avere tutto e ci distoglie dal sacro diritto, o dovere, di sognare invece cosa essere, eclissando nel fumo delle sue gridate offerte il piacere di immaginare chi vogliamo diventare, la voce serena di Fiorenzo Mascagna ci ricorda quanto ciò sia in realtà molto più necessario al raggiungimento di quella felicità che ogni essere umano agogna per sé. La più alta ambizione possibile non è quella di possedere cose, ma quella di poter dire, al bambino che eravamo, se ce lo trovassimo un giorno davanti: ecco, ho realizzato i tuoi sogni, sono quello che volevi essere da grande, non ti ho dimenticato, né tradito. Certo, ci vuole anche fortuna; bisogna trovare, sulla propria strada, i segnali che indichino la via, ma questo non è sufficiente; il merito dell’uomo e la sua abilità stanno nel riconoscerli e nell’essere così forte da seguirli, anche quando tutti, comprese le persone che lo amano di più, dicono, in buona fede, che è una follia, che quella strada non porterà a nulla e che i sogni sono solo inconsistenti illusioni. Fiorenzo Mascagna è oggi un apprezzato scultore e docente all’Accademia di Belle Arti, ma non ha dimenticato le sue radici, e il mondo semplice che scolpisce in bassorilievo sullo sfondo della sua storia, è il mondo della tranquilla vita di provincia, con i suoi ritmi lenti e naturali, con le stagioni che scandiscono il tempo dell’uomo. La linfa vitale che pervade il narrato è la stessa che anima l’autore: dall’antica saggezza contadina egli ha appreso che ci vuole del tempo per vedere i frutti di quanto si è seminato, bisogna sapere aspettare, e dalle pagine del romanzo lancia la sua tacita sfida alla società del “tutto e subito”. I personaggi intagliati in questo mondo divengono, fra le sua mani, rappresentanti di un’umanità che rischia di svanire, inghiottita nel caotico traffico del progresso omologante. Una profonda sensibilità consente all’uomo e all’artista di cogliere i gesti e i silenzi che costituiscono la vera ricchezza dell’esperienza del singolo e, traducendoli in un linguaggio che tocca corde inconsuete, li materializza e li rende fruibili senza che quei gesti e quei silenzi perdano la loro fragile, impalpabile consistenza. E’ forse l’allenamento ad usare lo scalpello e la pratica a far emergere, attraverso esso, la grazia e la flessuosità di un giovinetta dalla dura pietra che ha insegnato a Fiorenzo Mascagna a ricreare quelle atmosfere e quelle ambientazioni intime e rarefatte che ciascuno porta dentro di sé, ma che il più delle volte, quando si cerca di far rivivere descrivendole, perdono gran parte del loro fascino e vividezza, appesantite dall’incontro con la realtà esterna. E’ caratteristica esclusiva degli uomini attribuire significati altri a quanto accade loro e proprio nel significato attribuito ad un evento, che ad altri può apparire banale, si concretizza l’identità particolare di ciascun individuo, diverso da ogni altro. Può un libro acquistato per caso su una bancarella, senza per altro alcuna vera intenzione di leggerlo, mutare il corso di un’esistenza? Sì, se noi decidiamo di dare a quell’avvenimento un valore speciale. La simpatia che suscita il protagonista del romanzo è tutta nel suo costante non prendersi troppo sul serio, nel rimanere cosciente dell’arbitrarietà di certi significati, eppure nell’agire in base ad essi in modo serissimo. Le valenze autobiografiche contenute nel romanzo, più che segnare una linea di confine tra narratore e lettore, segnano anzi un punto di incontro; la semplicità e la naturalezza con cui Fiorenzo Mascagna descrive sentimenti, situazioni e punti di vista generano complicità e partecipazione. Nella massificazione del gusto, in cui finiscono inevitabilmente anche le produzioni artistiche e intellettuali, I giorni che non ti aspetti rappresenta una piacevole, sorprendente eccezione. Senza avvalersi dei colpi di scena e degli artifici narrativi così comuni al nostro tempo da apparire doverosi, la narrazione avviluppa l’attenzione del lettore, trasportandolo in una realtà intimistica e familiare, quasi ascoltasse il racconto di un amico. E’ una scelta stilistica matura e ponderata, dovuta probabilmente anche all’esperienza di docente dell’autore, che conosce il valore di un linguaggio che con semplicità e naturalezza riesca a trattare anche delle cose più difficili e a toccare con dolcezza gli argomenti dolorosi e tragici che fanno spesso parte del bagaglio dell’esistenza. Intessuto di personali considerazioni e riflessioni, quello che emerge con maggior forza dalle pagine del romanzo è la rara sensibilità di uno sguardo sul mondo che è in grado di abbracciarlo così com’è, senza chiedere scioccamente al mondo di cambiare, ma pretendendo quel cambiamento da se stesso. E’ la storia di un’inversione di marcia, di un lento ma caparbio risalire la china, di uno svegliarsi da quel torpore in cui è dolce lasciarsi scivolare, ma che determinerebbe il tradimento del sé e la morte del sogno che anima la vita di ogni uomo. Quasi un controcanto al verghiano mondo dei “vinti”, la vicenda del protagonista si pone come un suadente memento: se qualcosa di buono il progresso ha portato con sé, è la possibilità concessa all’individuo, occidentale e contemporaneo, di scegliere una strada diversa da quella che la sua origine sembra avergli assegnato: tutto ciò che occorre per farlo è volontà e determinazione. Così il vecchio e triste cappellaio Alessandro, emblema di quella società in cui si è ciò che era tuo padre, racconta delle sue frustrate ambizioni, affidando al protagonista, un uomo che ha avuto la possibilità e il coraggio di seguire le proprie, gli arnesi di un mestiere che ormai non serve più a nessuno. Il quadro degli studenti “segaioli”, invece, che si ritrovano nel retro del bar vicino alla scuola e menano il loro tempo nell’ignavia e nell’incoscienza del domani, dipinto con i toni empatici e caldi dell’affetto e al contempo del distacco di chi fu uno di loro, induce la malinconia per un futuro a cui si è rinunciato prima ancora che avesse inizio: quei tanti Lucignolo, cui tutti siamo pronti a dispensare benevoli sorrisi, abdicano di fatto alla costruzione del loro domani, e il nostro sorriso, riletto tra le pagine di Fiorenzo Mascagna, si rivela in realtà carico di tutta la sua compiacente indifferenza. I giorni che non ti aspetti è un invito garbato a far tesoro delle proprie esperienze, a non vivere la vita in frammenti che hanno senso solo se presi singolarmente, ma a tenere sempre un vigile sguardo sul tutto, perché domani diventeremo quello che ieri abbiamo scelto di essere, senza soluzione di continuità.

Alessandra Maiorino

Catalogo "Scultura Scultura"

Mi chiedo cos’è la scultura se non un appuntamento sulla panchina del tempo tra idea e materia. Questo mondo che non ha spigoli, rotondo come un abbraccio, perennemente gravido di attese, ha la fragilità del tintinnio di ombre che cadono a sera sulla pietra lavata. Questa completa ed assoluta dedizione di tempo è la prova di fedeltà che l’arte richiede per darsi tutta senza riserve. E’ quando ci si accorge di non saper essere altro, che la nudità, diventa pagina sopra la quale scrivere respiri da tramutare in pietra. Non c’è asilo migliore della novità che accende ogni volta luci sul cammino. Essere operai delle proprie idee è il tentativo di incontrare se stessi ogni volta che si fa qualcosa. D’altra parte la scultura per me è il modo migliore che conosco per somigliare a me stesso.

Ci sono attimi feriti dalle stagioni che passano: discese di pianto da convertire in curve. La forma si adagia sulle mani ma è solo un transito. Presto il filo del ricordo avvolgerà l’involucro di pietra. La natura dell’incontro svela il senso precario dell’appartenenza. Tra idea e mani il futuro diventa qualcosa e viaggio verso qualcuno.
Quando la materia sveglia i pensieri, Il tempo, come dimensione costruita, allarga la cornice per farci entrare dentro i giorni. Questo sciamare di ore che implode dentro la forma, si tira appresso gli scalpelli ogni volta che la figura chiede di essere liberata dall’ingombrante armatura.
Quando la scultura è vicina al senso del pane, assume forme semplici. La sua condizione non è più quella di piacere a qualcuno ma quella di interessare e servire a qualcosa. La ritualità come conservazione della storia ha dalla sua il sapersi mantenere viva all’interno dei vortici ingovernabili delle novità ad ogni costo. Far diventare materia un pensiero è tornare alla polvere arcaica degli utensili, è ripercorrere il senso della cultura materiale sollevandola dal peso del racconto, è farla vivere nell’attualità dei bisogni primari.

Il senso primitivo che lega l’uomo alla pietra si rinnova nella scultura ogni volta che i ritorni alla storia sollevano il coperchio del bisogno di liberare la corda, tesa tra noi e le origini del nostro tempo. Le stagioni si lasciano cullare dal gioco di crederci invincibili o fortunati. Nell’adottare amuleti ci rendiamo partecipi dell’eterna sfida tra bene e male, evocando il desiderio di sentirci protetti dall’invisibile. Le pietre custodiscono il silenzio che soltanto le anime sanno ascoltare.
Gli alfabeti hanno il tempo del ritorno, i suoni scritti ed ascoltati si riflettono nello specchio della parola. La scultura che fa di una materia inerte una lingua viva è chiamata ad accendere suggestioni. Il miraggio sembra tramutarsi in verità ogni volta che i suoni della vita si avvicinano. Quando arriva il giorno si ricomincia a modellare la pietra perché diventi il vestito buono per la messa in scena dell’arte. Tra tutte le finzioni, lo scrigno delle probabilità è quello che meglio di altri offre il dubbio delle certezze.

CATALOGO "ATTIMI DI VENTO A FAVORE"


Il titolo di una mostra è sempre quel ipotetico cerchio dove dentro ci finiscono le intenzioni divenute forma per mano dell’artista. Questa opera che non si vede è il luogo mentale che accoglie il girovagare delle idee che prima di manifestarsi attraverso la materia, sostano negli ampi spazi della memoria. Gli Attimi di Vento a favore simboleggiano il transito all’interno delle metamorfosi possibili, è un viaggio in concordanza di fase che ha come scopo la trasformazione di un’energia in solido approdo alla forma. L’artista immettendosi nel flusso che conduce all’opera non partecipa dettando regole, concorre alla definizione di un’idea disponendo il proprio mestiere sulla via del tragitto. Il senso del sentirsi operai delle proprie idee è dato da quest’assenza di opposizione che si fa capacità d’ascolto. Non può che essere l’armonia a guidare questa carovana di intenzioni, perché questi singhiozzi di vento, una volta giunti sulle mani dello scultore, hanno la fragilità di un sorriso e da soli non possono procedere oltre. Diventa complicato guardare indietro e anche quello spingersi in avanti non può essere calpestare gli indizi che le idee disseminano lungo la strada. Si chiama fiducia quel procedere passo dopo passo. Gli Attimi di Vento a Favore non hanno orari e quando ti arrivano addosso hanno già deciso per te che è il momento di seguirli, che sia notte o l’ora di pranzo, che sia il momento giusto o quello sbagliato. Il loro tempo è quello delle idea e nessun altro tempo può essere quello buono. Questo cerchio di cui il perimetro può essere seguito solo dalla mente si compone di attimi. Ogni opera è contenuta in questo percorso che dall’idea conduce alla materia. Ogni opera ha vita propria perché nessuno di questi momenti si somiglia se non nelle intenzioni di condurre l’artista dalle parti di se stesso. Questo viaggio che tocca mondi sconosciuti non supera in realtà la larghezza di uno spillo. L’opera non è il pensare a qualcosa, è farsi respirare da un attimo che già contiene in se la metamorfosi di un desiderio. E’ da spettatori di se stessi che senza far domande ci si accompagna dentro il nuovo oggetto da immettere nel mondo. L’idea, da fragile che era, raggiunge la consistenza della materia quando, a qualunque ora del giorno o della notte, la mano dello scultore non ha più impronte da distribuire. Da quel momento in poi l’opera ha un proprio respiro e non può più appartenere a nessuno se non a se stessa.

OPERA DI RIFERIMENTO:

" Attimi di vento a favore"

CATALOGO "MONDI SVEGLIATI DI NOTTE" OLBIA EXPO'

L'arte si assume spesso, attraverso l'immaginazione, il compito di superare il confine precario tra natura e cultura. In questa chiave interpretativa, Fiorenzo Mascagna utilizza i suoi materiali, componendo una tavolozza scultorea dove i legni di abete e di castagno si fondono con le pietre, in un'armonia delle forme.

In tale prospettiva, il cromatismo discreto delle pietre realizza una sintesi di colore con le strutture complesse del legno e con l'artificio suggestivo delle vernici. Il quadro plastico delle forme che ne risulta realizza un racconto in cui la purezza geometrica delle strutture dà luogo a delle immagini figurative costruite dalla spontaneità immaginativa del fruitore. La scultura dell'artista interpreta il mondo in modo da modellarlo al proprio ambiente.

Le sue opere, poste al confine tra il figurativo e l'astratto, rappresentano, nella purezza regolare delle loro forme, oggetti che arredano e ornano nel contempo l'ambiente in cui si collocano. Così, lo spazio sociale della città e quello privato della casa vengono ad animarsi attraverso composizioni che fondono l'arte con l'artigianato, l'immaginazione con la tecnica. In quest'ottica, Mascagna riesce ad aprire la tradizione mitica e poetica del suo territorio ad un futuro in cui le soluzioni evocano la presenza dell'uomo che crea e trasforma, con la sua opera, la natura.

La mostra sviluppa un itinerario narrativo sottolineato, in modo particolarmente efficace, dal titolo che evoca il significato profondo sotto il quale vengono unificate le opere. Con l'espressione 'Mondi svegliati di notte', emergono significati nascosti che appaiono e scompaiono, si svelano e si nascondono. Le pietre, incastonate in un mosaico di colori e di forme, indicano il treno dei racconti dove i paesaggi e gli episodi si strutturano secondo il colore in un'opposizione dialettica tra la serenità della pietra e la brillante vivacità delle vernici acriliche e metallizzate. In questa atmosfera, che costituisce lo sfondo delle composizioni, si ritaglia, nel significato delle forme, il nome delle cose. Il linguaggio espressivo trova gli espedienti tecnici nell'invenzione di legami inconsueti nei quali, oltre alla sintesi tra l'effetto cromatico naturale della pietra e quello artificiale del legno tagliato e incollato, frequentemente ricoperto di vernice, l'artista crea un legame tra i materiali, cucendo con fili metallici la pietra.

I significati delle sue composizioni percorrono due itinerari: uno emotivo e romantico come, ad esempio, nell'estasi, il bacio, il ritratto all'amore e la grande madre, evoca i sentimenti e valorizza la fantasia; l'altro, di natura tecnologica, trova nell'armonia delle fontane, nella costruzione del sapere e nella stilizzazione di tutte le composizioni narrative, l'espressione delle forme che, con la loro regolarità e movimento, danno forza all'incessante creatività della vita.


Aurelio Rizzacasa