Alla ricerca del reale nella nebbia digitale: esplorare la logica dell’immagine e l’esperienza percettiva nelle “Visioni Digitali” di Teng Lingqun
Nel contesto contemporaneo, in cui la cultura visuale è stata completamente travolta dall’ondata della digitalizzazione, la nuova mostra personale di Teng Lingqun, Visioni Digitali, propone una strategia iconica al tempo stesso rigorosa ed esplorativa. Le opere in mostra—figure umane trascinate nella sfocatura temporale, composizioni di animali costruite attraverso ripetizioni e sovrapposizioni, e paesaggi naturali sospesi tra realtà e rumore digitale—delineano uno spazio ibrido situato fra la fenomenologia della visione e i meccanismi computazionali. Le immagini di Teng non utilizzano semplicemente strumenti digitali come mezzo di produzione; esse funzionano piuttosto come dispositivi riflessivi sull’ontologia del vedere: davanti a tali immagini, lo spettatore non osserva soltanto l’“aspetto” di qualcosa, ma è costretto a confrontarsi con il potere, le strutture e le logiche profonde che presiedono alla generazione stessa delle immagini.
Una caratteristica distintiva delle opere di Teng Lingqun è la presenza diffusa della sfocatura (blur), delle forme spettrali (spectral forms) e delle perturbazioni pixelate (pixel disturbance). Che si tratti del lieve fuori fuoco delle figure in uno spazio a scacchiera o delle sovrimpressioni quasi totemiche nei volti dei gatti, l’artista sovverte intenzionalmente la nitidezza e la definizione dell’immagine digitale. Questa condizione del “non vedere chiaramente” non è un limite tecnico, ma una precisa strategia visiva: essa resiste alla chiarezza, resiste alla risposta definitiva, resiste all’impulso classificatorio. Nella storia dell’arte, la sfocatura è stata simbolo del paesaggio romantico o strumento degli impressionisti per liberare l’esperienza visiva dalla mera rappresentazione; nel contesto digitale di Teng, essa diviene un gesto di resistenza contro la tirannia dell’alta risoluzione e contro la tendenza algoritmica a strutturare e parametrizzare il mondo. La sfocatura restituisce all’immagine la sua ambiguità e instabilità, riportandola alla fragilità e all’incertezza proprie della percezione umana. Tale strategia risuona con la fenomenologia visiva di Maurice Merleau-Ponty, secondo cui il vedere è corporeo, incompleto e continuamente generato nella relazione tra soggetto e mondo. Indebolendo la definizione dell’immagine, Teng restituisce la visione al suo stato di evento in divenire, piuttosto che a un oggetto catturabile.
Le sue opere presentano inoltre ricorrenti configurazioni corali: figure umane sfocate, lettere sovrapposte, moduli cromatici densi ma stranamente quieti. Questi insiemi generano una condizione in cui la soggettività appare diluita, mescolata, persino dissolta. Il gruppo non è più un insieme coeso unificato da una narrazione centrale; assume invece la forma di una “nuvola di dati” (data cloud), in cui ogni unità è presente ma incapace di costituire un centro o una struttura definita. Tale configurazione visiva richiama le discussioni sociologiche sul soggetto digitale: nell’era informazionale, l’individuo viene frammentato in dati, etichette, punti di riferimento, perdendo coerenza nel flusso incessante degli input visivi. Teng non rappresenta questo fenomeno con atteggiamento critico-didattico; piuttosto, lo traduce in una logica visiva che riflette le sue implicazioni psicologiche. Lo spettatore, davanti a queste immagini, avverte una leggera sensazione di fluttuazione, estraniamento e distanza, come se entrasse in una zona percettiva in cui mondo e memoria risultano attenuati.
Particolarmente rilevanti sono i paesaggi visionari presenti in mostra. Laghi, rocce, fiori e foreste non sono rappresentazioni della natura reale, ma “quasi-nature” (quasi-nature) generate attraverso flussi luminosi digitali, rumori e algoritmi di sintesi. Questi paesaggi appaiono calmi ma disancorati dal mondo fisico: una luce che non appartiene al clima, colori estranei all’atmosfera, ombre e texture che rivelano l'intervento digitale. Qui le opere entrano in dialogo con le teorie di Hito Steyerl sulla “bassa risoluzione” (poor image aesthetics) e sul “paesaggio-dati” (data landscape): la natura, riscritta dalla tecnologia, diventa una terza tipologia di paesaggio—simulata, sintetica, ibrida.
L’artista sembra dunque chiedere: quando natura e paesaggio digitale diventano sempre più indistinguibili nel campo visivo, vedere la natura significa anche vedere la tecnologia? E il concetto stesso di “paesaggio” è ancora geografico, o è ormai computazionale? Questi interrogativi sono anche quelli che ho condiviso con il curatore Angelo D’Amato nel delineare il percorso concettuale della mostra.
Visioni Digitali non è una semplice esibizione di strumenti digitali, ma un esperimento sull’“ontologia della percezione”. Teng Lingqun conduce lo spettatore in uno stato di visione instabile: attraente ma inafferrabile, familiare ma stranamente estraneo. Questa sospensione è la forza centrale del suo lavoro. L’artista restituisce all’immagine una condizione “pre-linguistica”, facendo della visione stessa un’opera. In questo senso, la sua pratica non è solo un esperimento estetico, ma una risposta epistemologica alla nostra epoca digitale: nella ricerca del reale ci affidiamo alle immagini, pur non potendo più riporre in esse piena fiducia. Visioni Digitali diviene così una metafora dell’esperienza visiva contemporanea, in cui i confini tra nitido e sfocato, reale e simulato, soggetto e immagine si fanno sempre più instabili e permeabili.
sabato 6 dicembre 2025
Via Parmenide, 23, 84131 Salerno SA - Salerno - Salerno - Italy
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