Testi critici

L’INCANTO DELLA FORMA
Di Stefania Piunti

Si può definire " L'incanto della forma " l'opera di Roberta Susy Rambotti che nella sperimentazione dell'argilla, elegge lo strumento della sua libertà assoluta. Materia da lei vissuta come viva, fluida, che la scioglie totalmente dalle regole del figurativismo e la immerge nell'ignoto dell'astratto, dal quale riemerge come scultrice. La sua è una scultura fatta di spazi, dove volumi positivi si armonizzano e dialogano con i convessi, in un gioco di ombre e chiaroscuri tali da far
presagire che la luce sia insita nell'oggetto stesso. La sua ricerca sfrutta in senso dinamico la linea curva, ma soprattutto i "vuoti", sono loro i veri protagonisti. Attratta più dall' "invisibile" che dalla materia, crea un'arte fatta di magnetici opposti da osservare nel tutto tondo, dove restituisce un'immagine di grande unità e coerenza. Tende ad aprire i volumi in movimenti tortili, a rompere la massa della materia fino a farla comunicare in maniera del tutto accordata con l'esterno, al punto che lo spazio viene creato dall'oggetto stesso. Mossa dalla sua grande sensibilità tattile, trasforma la tensione creativa del complicato intreccio plastico, fino a ridurlo in pura forma. I suoi sono "componimenti scultorei", strumenti che sembrano essere suonati e plasmati dal tempo, dall'acqua, dagli elementi tutti e che paiono suonare sinfonie diverse al cambiare del punto di vista dell'osservatore. L'artista le chiama "canalizzazioni", "rendersi canale" e confessa che quando si trova nella pratica del creare è come schiava e padrona della sua stessa mano, della sua stessa arte; plasma la materia e se stessa finché la forma è sprigionata e lo spirito dell'opera manifesto. Forma essenziale, sensuale che coglie la figura come luogo di purezza, rotondità, dove confluiscono immagini archetipiche di danze rituali, antiche attrazioni sensoriali e fiamme infuocate. Fiamme che bruciano e per un momento sospendono, tutto ciò che si può dire e pensare dell'arte..... e ci lasciano qui a contemplare bellezza....

ESSENZA MUTAFORME

“Essenza mutaforme” è il titolo che Roberta Susy Rambotti ha voluto dare a questa mostra. E a me piacerebbe prenderlo come l’ingrediente di una formula magica!
Così, anche per entrare in sintonia con le sue sculture-composizioni, ascolto i suggerimenti che vengono dai titoli e mi abbandono a un quid di magia: Eritin natil, Admadil e Isolafe
separazione e lealtà, Shirift Albero del tempo che scorre con il manto del sogno...
Lei afferma che quello di cui abbiamo più bisogno nella nostra vita, in questo nostro tempo, nelle nostre latitudini è << di unire il tempo magico con il tempo ordinario>>. Possiamo provarci? Altri titoli mi suggeriscono anche più intime sfumature, oltre la prima impressione di un delicato intreccio di forme interiori, nate dal sentire più che dal pensare: Elementa mutaforme. Canalizzazione dell’angelo, Ricordi circolari come guizzi dal tempo diverso, Spiraglio fra folli pensieri fluttuanti, Nel vuoto il ricordo… E c’è in altri l’avvicinarsi alla sfera ancestrale del sacro: Spirito della terra. Ashram. Come il suono, Sacra conversazione, La danza dell’intento, Maternità, Dea Nera …
Le sue composizioni-sculture sono fatte solo di terra, di acqua, aria e fuoco: <<lavoro la terra perché mi sento della terra … ciò che cerco di fare è semplicemente assecondare il mio corpo, lascio che la mano e la materia si relazionino e dialoghino ed io non giudico ciò che avviene, è così e ne prendo atto. Con la mente non riesco ad immaginare tali forme… le forme le canalizzo diventando io stessa uno strumento>>. Ed è così che Roberta si lascia guidare e lo stupore sopraggiunge quando le sculture sono terminate. Ma è staccandosi da loro, mettendole nel fuoco che le consacra definitivamente, ed è un momento di grande emozione, che sfiora la sofferenza. Un timore ancestrale affiora nel consegnare quelle forme, uscite dal suo sentire più profondo e inconscio, al fuoco.
Osservando le sue sculture mi accorgo che sono insieme spazio e tempo, mutano continuamente e non c’è un punto di vista privilegiato per entrare in comunicazione con loro. Fluttuano nell’aria, salgono o si adagiano, seguono andamenti ora morbidi, ora pungenti, ora concavi e convessi, complementari e opposti. A volte sono graffiate, segnate da linee e anfratti d’ombra, altre volte sono accarezzate, luminose e lisce. Sono solo tracce - ex-posto - di un movimento interiore, altrimenti invisibile. Alternano organicamente accumulo e rarefazione, unità e frammentazione, ordine e disordine. Lasciano scorgere morfologie naturali, evocando segni sessuali maschili e femminili. Soltanto una relazione empatica può farci entrare in contatto con loro. Dice Roberta: <<Mentre lavoro mi faccio guidare, sento di essere una viaggiatrice dei Mondi e di riuscire a portare qua ciò che vedo col terzo occhio. Faccio salire l’energia vitale e le emozioni come carburante … in ogni uomo ed in ogni donna esistono una parte maschile ed una parte femminile … una parte razionale ed una creativa … l’azione e l’accoglienza … la struttura e l’ascolto, la forza e la morbidezza. Quando mi trovo nell’azione artistica riesco ad utilizzare armoniosamente sia il lato femminile che quello maschile in cui il Sentire si struttura e diventa forma>>.
Il fare arte può diventare un mezzo, un processo di conoscenza e di guarigione, per l’artista come per il fruitore? Per alcuni tra i maggiori artisti del secolo scorso, come nelle culture primitive, l’artista è anche sciamano, ed è anche rivelatore dell’Angelo, in contatto con l’Assoluto, veggente…
<<Esiste un “universo” che non è visibile agli occhi… lavorando riesco a vedere, mi alleno all’invisibile… l’invisibile è ciò che mi interessa veramente>>. Ed è proprio in questo rapporto con l’invisibile che le forme create da Roberta possiedono la forza del legame con la tradizione di quell’arte astratta che è stata capace, a partire dalle avanguardie storiche, di aprire le strade per scendere nel profondo, per esprimere la densità interiore del mondo delle nostre sensazioni.
Scrive Kandinsky: “L’arte astratta abbandona la “pelle” della natura, non le sue leggi. (...) Queste leggi le sentiamo, in modo inconscio, se ci accostiamo alla natura in modo non esteriore, bensì interiore. Non ci si deve limitare a guardare la natura dall’esterno, ma la si deve vivere dall’interno” (Intervista a Nierendorf, 1937, Tutti gli scritti, p. 199).
E Paul Klee in quegli stessi anni dirà: “L’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile” e ancora: “Nell’immanenza non mi si saprebbe definire. Poiché sto altrettanto bene sia coi morti sia con coloro che non sono ancora nati. Un po’ più vicino del solito al cuore della creazione. Eppure sono lungi dall’essermi avvicinato tanto quanto occorrerebbe”.
A Villa Fabris Roberta espone il lavoro realizzato nel corso di un anno, decisa a vivificare a contatto con il pubblico questo suo percorso di ricerca, la sua essenza mutaforme.


Vicenza 14 maggio 2012
Alessandra Menegotto