NOVELLA: "LA COLLINA DEI FICHI D'INDIA"
NOVELLA: “LA COLLINA DEI FICHI D’INDIA” PREMESSA: In questo breve racconto ho voluto descrivere i trascorsi della vita adolescenziale di mia moglie: ragazzina cresciuta in campagna, coccolata dalla Natura, sempre benevola e seduttrice, che ha fatto sentire i suoi effetti benefici e che ha reso indimenticabili quegli anni meravigliosi della sua spensierata adolescenza. Una giornata primaverile, baciata dai caldi raggi del sole e accarezzata dai frutti che la splendida Natura sa porgere con tanto amore a chi la rispetta. È dunque questo un racconto idillico. È un componimento campestre e pastorale, ove mi compiaccio di narrare quella che la natura regala a noi: la pace interiore. La novella è ambientata in una zona del territorio siciliano: la zona nord-orientale isolana, a sud della città di Messina, e più precisamente lungo il mar Ionio, nel paesino di Santa Margherita Marina, di fronte allo Stretto e alla costa calabra e lì dove vi sono alti e lussureggianti rilievi montuosi, ricchi di alberi fronzuti. In quel contesto, viveva la sua fanciullezza una ragazzina che sarebbe diventata, da lì ad un tempo lontano, mia moglie. Una pura alea ci avrebbe fatto incontrare. La vita è un susseguirsi aleatorio di eventi. Aria salubre e clima mite l’accompagnavano lungo la sua tenera età. Vegetazione prospera e in pieno rigoglio, che guarda ad oriente la vicina costa calabra e molto più lontane le terre dell’Egeo. Zona d’isola d’oriente, era un tempo terra di dominio greco. Come non pensare che i Peloritani siano l’appendice della catena montuosa italica degli Appennini e gli odierni abitanti della Sicilia orientale siano i discendenti dei Siculi, che un tempo cacciarono dalle loro terre e valli altre genti, che si spostarono ad occidente dell’isola, prendendo il nome di Sicani? Zone siccitose a sud del territorio isolano, dal clima subtropicale, a differenza di quelle piovane lungo l’entroterra dello Stretto che rende il terreno molto fertile. Copiosa è la raccolta dei frutti che questa terra sa dare. TESTO DELLA NOVELLA: La finestra si apriva come d’incanto, coi suoi cigolii che accompagnavano il cinguettio degli uccellini e il frinire dei grilli, che coi loro canti attiravano le femmine per la fecondazione. Rinascita della vita è la primavera. Le cerniere andavano oleate, ma si rimandava sempre. Forse era piacevole anche sentirle vicine per assaporare la vetustà della casa rurale. E come per magia tutto si presentava agli occhi di Luciana. Il paesaggio agreste profumava di primavera, con i suoi primordiali bagliori, dopo un lungo inverno e copiose piogge, e l’odore della zagara avvolgeva l’adolescente nel suo cammino di crescita. Luciana aspettava in silenzio. La mattinata era lunga. Poteva attendere. Ed ecco da lontano una figura che le sembrava conoscente. Francesca si avvicinava alla casa, raggiante. E Luciana poteva finalmente incontrarsi con sua cugina. La radiosità raggiunta si perpetuava in un caro e affettuoso abbraccio. Era come se non si fossero più riviste da anni. Sentimenti d’affetto genuino di due ragazzine, strette anche da legami di sangue. “O bella giovinezza spensierata e gioiosa…” pensava donna Teresa, mamma di Luciana. E un’altra giovane si faceva invece attendere. Sempre lei, la ritardataria: Maria Luisa. Ma a questi ritardi Luciana e Francesca non facevano più caso. L’importante era rivedersi e giocare insieme. Le raccomandazioni della mamma di Luciana, che esternava a ogni piè sospinto, non senza un velo di preoccupazioni, erano chiare alle due ragazze. Pericoli e fantasmi vedeva la donna lungo la strada che avrebbero intrapreso le ragazze. E quasi fossero orazioni, univa le mani e le poggiava al petto. Il suo sguardo, intriso d’ansia, si perdeva nel vuoto. Bussava alla porta, finalmente, Maria Luisa, che scusandosi per il ritardo, si faceva perdonare con uno smagliante sorriso rivolto alle amiche e le stringeva in un lungo abbraccio. Era il momento di andare. Un secchio e gli arnesi quanto bastavano per un puro divertimento. Le tre amabili creature non aspettavano altro. Donna Teresa li tirò fuori da uno sgabuzzino di un rudere accanto all’abitazione e li cedette alle tre ragazzine, che felici s’incamminarono lungo un sentiero accompagnato da cespugli spinosi, e che costeggiava una collina amena, che tutti chiamavano “la collina dei fichi d’india”, ricca di colture, e che dava a chi la contemplava un senso di serenità, aulente di terra bagnata dalla pioggia del giorno appena trascorso. Il cammino che le tre giovani donne stavano percorrendo era stancante. Il sentiero era malagevole; una vera e propria erta le conduceva a destinazione. Ma la fatica non si faceva sentire, tale era la gioia di stare insieme, con animo di piena e viva letizia. E al gradevole paesaggio campestre facevano eco le loro sbottate di risate. E saltellavano, cantando e fischiando melodie conosciute. I campi di grano fluttuavano al ritmo del vento, che ora era più forte e poi più leggero, creando delle onde come solo nel mare si manifestano. E il sole, sempre più alto nel cielo, faceva ora sentire i suoi effetti. Le gambe delle ragazzine si facevano più pesanti. Il cammino diventava via via più faticoso. Il sentiero era sempre in salita. Ma la gioia di stare insieme, vissuta dalle adolescenti nella giornata d’inizio primavera, era grande. “Eccoci arrivate” esclamò Luciana. La zona era da lei molto conosciuta. E davanti a loro si presentavano delle piante di fichi d’india. Erano arrivate nel luogo di destinazione. “Queste piante sono originarie del Messico” affermò Maria Luisa, che voleva sfoggiare una sorta di ostentata cultura agreste. “E fu Cristoforo Colombo a importarne i semi” aggiunse Francesca, sbalordendo chi l’ascoltava. “La finiamo di fare le maestrine…?” incalzò, quasi infastidita, Luciana. E poi, tutte e tre a ridere. Ognuna voleva prevalere sull’altra, ma in modo fanciullesco. “E allora… la iniziamo la raccolta?” soggiunse Luciana. “Dammi u’ cuppu!” “Dammi u’ cuppu!” chiedevano Luciana e Francesca, e Maria Luisa, dopo aver dato a loro i due attrezzi, teneva in alto il secchio per raccogliere i frutti che si staccavano dalle pale della pianta. E cantavano e ridevano. Il tempo si era fermato. E gioivano, cantando e dondolandosi, mentre raccoglievano i frutti. L’olezzo dei fiori degli agrumi, degli aranci e dei limoni tutt’intorno la campagna, accarezzava la collina. Si mischiava con la brezza marina dello Stretto lì vicino, e aulente di primavera era quell’angolo di paradiso in terra. Maria interruppe la lettura del libro sotto l’ombrellone, piantato in una spiaggia dalla sabbia granulosa e da un mare limpido e trasparente e dal colore di un azzurro intenso, quasi indaco, che si confondeva con quello del cielo. Era un luogo situato lungo quella che viene chiamata la “costa degli dei”, in Calabria, sul versante tirrenico, che dalla cittadina di Pizzo Calabro, toccando Tropea e Capo Vaticano, scendeva verso sud, fino a giungere a Nicotera. Il marito sfogliava le pagine di un opuscolo. “Roberto, sto leggendo un libro, e dalle prime pagine, è strano, ma mi sembra di rivivere la mia amata gioventù, quando scorrazzavo lungo la campagna di casa mia, felice, insieme ad una mia cugina e ad una mia cara amica di gioventù, conosciuta a scuola, proprio come ho appena letto nel libro.” Roberto Zaoner (09 settembre 2017)
Informazioni generali
- Categoria: Poesia
Informazioni sulla vendita
- Disponibile: no
Informazioni Gigarte.com
- Codice GA: GA227201
- Archiviata il: 15/05/2025
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