Mario Stefano

artista

Mario Stefano nasce a Napoli nel 1983. Grazie ad un ambiente familiare stimolante, coltiva la sua vocazione artistica da autodidatta fino alla maggiore età. Consegue poi la laurea in Scienze dell'Educazione, dedicandosi per oltre quindici anni alle sue attività di palestra, accantonando così gli studi personali di pittura. Appassionato di storia dell’arte, grazie al confinamento forzato della pandemia, rispolvera vecchi studi e disegni, approfondendo e sperimentando ogni tecnica pittorica ed ogni tipo di medium; una full-immersion di oltre dieci ore giornaliere, sette su sette, che gli permette in due anni di raggiungere una discreta maturità artistica. Nel 2020 allestisce il suo primo studio, dando il via ad una cospicua produzione artistica.

Tematiche

A cura di Giovanni Mastropietro, Professore di Estetica e Storia dell'Arte.

Mario Stefano esordisce con opere che hanno una potenza evocativa che si manifesta in maniera vivace, poiché sollecita lo sguardo di chi osserva nell'identificare immagini o singolari iconografie, un pastiche visivo - narrativo, giocato sull’incontro, lo scontro, la fusione di immagini, icone e citazioni, rivisitate, identificate ed espresse a qualsiasi livello immaginifico, il tutto è poi compresso in una perfetta dimensione creativa che si palesa in modo epifanico sia con accenti surreali che con chiari riferimenti pop.

Le opere più recenti di Mario Stefano rappresentano invece un mosaico figurativo le cui tessere coesistono nello spazio della sua tela, lasciando emergere frammenti di micronarrazioni volutamente sospesi, decontestualizzati, accostati, sovrapposti o messi sullo sfondo; elementi figurativi estrapolati da un vocabolario di immagini, che contribuiscono alla creazione di un insieme, in cui ogni singola parte ha uguale importanza.
Diverse micronarrazioni accostate in funzione dell’equilibrio compositivo e non di un filo narrativo comune.
In altre parole, Mario Stefano non ha voluto mettere ordine tra le micronarrazioni e dare un senso a una storia. Ha invece accostato le immagini in base al loro peso per creare un'architettura solida a scenari senza un tempo e senza un luogo definito, assumendo sul piano linguistico e stilistico una connotazione di sapore pop.
Dal dedalo dei riferimenti affiorano, dunque, molteplici elementi tra i quali si istaurano relazioni stridenti e mutevoli: le figure, le forme, i colori si rincorrono e si sovrappongono, proliferano con un ritmo sincopato, seguendo un andamento compositivo che rende naturale il legame tra le diverse parti che occupano la tela e la complessa intersezione di tutti gli elementi presenti nel dipinto.

Mario Stefano ha la lucida consapevolezza di essere arrivati tardi: è venuto meno il concetto di originalità, perchè tutto è già stato fatto. La pittura di Mario Stefano diventa quindi un lavoro di rilettura, revisione, composizione e collage, con giochi citazionali ricchi di salti e di incongruenze, in cui cultura pop, citazioni classiche, e iconografie appartenenti a mondi oramai inabissati, si contaminano di continuo.
Un patrimonio collettivo da rimontare liberamente, il che ci svela tutto il doppio legame che la pittura di Mario Stefano ha con il passato: da un lato presenza ossessiva in quanto icona, oggetto di culto, feticcio; dall’altro materiale da attualizzare, sovvertire, decostruire, dando vita così ad una glorificazione e celebrazione vere e proprie della citazione e del riuso rispetto all’originalità.
La citazione, colta o maccheronica, sgrammaticata o ironica, concettualmente allusiva o palesemente anacronistica, presente nelle opere di Mario Stefano, ha caratteristiche tutte sue: si basa sul riutilizzo spregiudicato delle fonti più disparate, classiche e non, provenienti da ambiti diversi, con continuo mescolamento tra i prodotti “alti”, derivanti dalla riflessione intellettuale, e quelli della cultura di massa.
Citazione intesa come fuga malinconica verso una realtà che si vorrebbe restaurare tramite il ricorso alla pittura.
Pur nell'ottica di un recupero del "già fatto", la libertà creativa di Mario Stefano è salvaguardata dalla possibilità, e dall'intenzione, di fare ricorso alla memoria intesa come mezzo per filtrare il ricordo e decodificarlo in modo del tutto personale: non si tratta quindi di un anacronistico storicismo, un ipermanierismo di imitazione, un ritorno passivo a collaudati linguaggi, ma di una elaborazione del passato attraverso la meditazione su di esso e l'astrazione di elementi presenti nella memoria collettiva, per esprimere concetti moderni nelle opere di un artista allusivo e ironico.
Una meditazione sul passato che avviene spesso in chiave ironica. Mario Stefano ritiene l’ironia una forza tanto potente quanto gentile; l’ironia avvicina, crea empatia, riduce le distanze; ironia utilizzata come vaccino verso un mondo contemporaneo sempre più ostile.
L’operazione compiuta con l’appropriazione, mentre si dichiara banalmente riproduttiva, è in realtà sottilmente concettuale: come spesso accade nell’arte moderna, la differenza la fa la reazione emotiva dell’osservatore, al quale sono affidati il nuovo ‘riconoscimento’ di un’immagine già vista e la sua capacità di riformulare il proprio giudizio.

Tecniche

A cura di Giovanni Mastropietro, Professore di Estetica e Storia dell'Arte.

Sebbene il lavoro di Mario Stefano sia spesso caratterizzato come un esemplare mashup visivo postmoderno, il linguaggio dell'artista è tutt'altro che casuale. Mario Stefano ha sviluppato, in pochi anni, una sintassi visiva strettamente controllata. Proprio come nella poesia, nella musica o in qualsiasi altro linguaggio organizzato sintatticamente, ciò che conta sono le innumerevoli relazioni delle parti con il tutto. Il lavoro di Mario Stefano è di natura "orchestrale" e può essere visto nel più ampio contesto dell'alto modernismo dell'inizio e della metà del XX secolo, in particolare nel linguaggio (visivo o verbale) di poeti, come l'Imagismo di Ezra Pound, Hart Crane, e Laura Riding, e i pittori Pablo Picasso, Giorgio de Chirico e Francis Picabia, tutti artisti che hanno cercato di catturare il ritmo e la complessità della vita contemporanea attraverso l'uso di sineddoche, compressione narrativa, giustapposizione e una generale resistenza alla chiusura. Questi artisti disparati, tra molti altri, credevano nell'essenziale malleabilità, o plasticità, dell'opera d'arte. Volevano un'arte con l'esperienza della simultaneità al tempo presente, che avesse la spontaneità del pensiero. Ci troviamo di fronte quindi a dipinti spesso strutturati in modo musicale, con ripetizione e variazione tra le parti e la creazione di corde immaginarie.
Eppure l'arte di Mario Stefano non è un semplice esercizio di formalismo con immagini non mediate. È radicato nelle esperienze personali con il linguaggio visivo del consumatore e nella sfida di assorbire quel linguaggio nell'arte. In effetti, si potrebbe dire che il "soggetto" dei dipinti di Mario Stefano è la presentazione stessa. I suoi dipinti mettono in primo piano i meccanismi e gli accordi visivi, spesso inconsci, attraverso i quali arriviamo a riconoscere un'immagine in primo luogo.
Il lavoro di Mario Stefano può anche essere visto attraverso una lente surrealista; la natura stessa della giustapposizione, le connessioni spesso irrazionali tra cose apparentemente dissimili, diviene uno dei suoi contributi più originali. "Il mio lavoro è contro la mentalità letterale in tutte le sue forme", afferma l'artista. Il lavoro di Mario Stefano si affida essenzialmente allo spettatore per partecipare alla costruzione del significato narrativo. Con il mezzo pittorico prescelto, in tutta la sua specificità e immediatezza, il lavoro di Mario Stefano parla dei modi in cui le immagini pubbliche vengono utilizzate per creare significati privati.
È la padronanza dello spazio pittorico dell'artista che rende i suoi dipinti così riconoscibili e distintivi.
Gran parte del linguaggio visivo di Mario Stefano riflette il mondo in cui è cresciuto negli anni ‘80 e '90. Nonostante ci siano state notevoli evoluzioni e variazioni nel percorso artistico di Mario Stefano (pochi artisti si sono opposti in modo così coerente all'idea di uno stile distintivo), il suo lavoro, con i suoi accostamenti inaspettati e poetici, continua a parlare, ora più che mai, del ritmo intenso e la frammentazione, così come l'ambiguità e la complessità, del flusso visivo impetuoso dell'era digitale.