Lorenzo Dalco

artista

Vedute coloristiche

L'urbano, Io spazio urbano composto da edifici vecchi e insieme nuovi di vicoli, strade, piazze, è stato oggetto di attenzione e rappresentazione iconografica, pittorica fin dal medioevo, transitando nella pittura trecentesca perviene allo sguardo prospettico, poi ai vedutisti al cubismo, futurismo, metafisica. L'apparire successivamente dell'analisi e della critica sociale, culturale, lo studio da parte degli urbanisti anche rispetto all'emarginazione all'isolamento e degrado delle periferie urbane viene sottolineato dalla cinematografia impegnata, dalla fotografia e dal video documentaristico.
Tali molteplici aspetti sono per Dalcò oggetto di riflessione e di suggestione ed egli implicitamente vi si commisura. Nella sua modalità operativa, il dato estetico, il sentire emotivo, la percezione degli spazi segnali, contrassegnati da eventi naturali sono oggetto di grande attenzione e sensibilità. Questi sono spesso registrati, colti fotograficamente e come tali considerati traccia, memoria — stimolo creativo.
Gli illustri predecessori di Lorenzo Dalcò hanno spesso trovato nell'urbano, nel suo manifestarsi, la fonte di turbamenti, angosce e inquietudine: i luoghi dove si svolgevano scontri, agitazioni movimenti di moltitudini e violenza, sono stati più volte colti con similarità partecipazione quanto melodrammaticità. Nella nostra società tardo capitalistica appare nel linguaggio il concetto di perturbante, per indicare la dimensione urbana esemplificata in film come True Stories, l'ultimo spettacolo, Rade Runner o Arancia Meccanica.
Qui in Dalcò nelle sue opere, nelle sue tavole, non troviamo questa estetica ma troviamo immediatamente il colore della pittura. Cercavamo le ragioni della sua opera il loro senso all'interno di una retorica dell'impegno di denuncia sociale ma non é questo il senso. Dalcò parla dell'operare che compie il colore quando incontra il 'debole disagio delle strutture architettoniche che costituiscono le facciate degli edifici quali si presentano con il canone prospettico.
Queste sono sottoposte ad una 'passione' - espressione coloristica così sollecitante che sembra le conduca fino al punto di essere demolite o almeno oscillanti — indifese come appaiono.
Le forze degli elementi della natura celeste il cielo là dove risiede (abita) la potenza coloristica mette in crisi ogni struttura architettonica. - Tempeste di colore incombono sul debole codice costruttivo.
Sovente queste facciate vengono contaminate dal conflitto che avviene sopra di esse tanto che le luci e le ombre si assentano così come le persone, gli individui e nessuno percorre queste strade, solamente qualche automobile quasi inUmorita sosta in gruppi quasi a proteggersi. Talvolta le strade umide di pioggia colorata si accendono di lampi argentei. Queste opere testimoniano di una pittura che dipinge, è un conflitto in cielo che prende anche colui che dipinge.
Dalcò è preso e sorpreso nel e dal colore che lo fa dipingere, entrando in dialogo con le cose prepotentemente. Vedute coloristiche urbane è il senso di queste cose pittoriche. Dalcò non poteva placare tale prepotenza dopo le esperienze trascorse con esso. Qui egli ha tentato di addomesticarla, ma essa si mostra indomita. Questa è la caratteristica migliore che contraddistingue tale pittura; la coscienza di ciò significa porre le condizioni per una proficua creatività.

Fabrizio Sabini



L'arte parte da un'idea passando dalla realizzazione. Il percorso è sempre una sorpresa, così come l'arrivo ma anche, stavolta, la partenza. La partenza è una violenza di destinazione, un'aberrazione di genere.

(Primo tempo)
La materia che costituisce il colore crea, deve creare, legami e biunivoche corrispondenze con il suo doppio d'elezione: la pittura ha il muro, l'olio ha la tela, l'acquerello ha il foglio, lo smalto ha l'automobile. Ecco, lo smalto. Uno smalto steso su una tavola rompe il legame di basilare affinità chimica per il quale entrambe le cose sono nate, penetra verso l'interno e si diffonde all'esterno in superficie, rapido e incontrollabile a cercare la sua lamiera, il suo ferro elettivo. In questo momento inizia il lavoro di violenza, di contenimento e di controllo su ciò che si dibatte; lo smalto, ancora vivo, si contorce distonico e ti lascia pochi minuti per dargli una direzione e un senso prima che una prima morte lo cristallizzi, lucentissimo e cangiante, in una nube astratta.

(Intervallo)
Asciughiamoci, aiutiamoci coi catalizzatori anche. Ci sta una sigaretta e quella sensazione di pericolo.

(Secondo tempo)
Poi arrivano i colori istituzionali. Acrilici ad esempio, quelli fatti per la tavola. Gli acrilici si stendono a costruire forme e sagome convenzionali, strade palazzi luci cantieri forme persone, reali in rappresentazione reale. Ma anche l'acrilico tituba sulla sfondo astratto, uno sfondo non suo, uno sfondo non tavola. Fuori luogo ancora una volta.
Combattono, i colori.
Combattono in rappresentazione, astratto contro figurativo.
Combattono in territorio, l'acrilico cerca la tavola e lo smalto la rifugge interponendosi.
Combattono in chimica: dove l'acrilico si stende lo smalto si solleva, soffia e sbuffa, si contorce per chimica e per sdegno; si fanno in là i colori, ora per rispetto e ora per aprire il cerchio alla rissa.
Poi il tempo acquieta, la chimica si porta all'equilibrio e i colori si acquartierano definitivamente sulle loro posizioni di eterna trincea.
Sul campo di battaglia restano paesaggi e scorci e persone e strade, vividi reali del reale, su uno sfondo acido di una Morte Grata.


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P A L L I
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Da più di dieci anni Lorenzo Dalcò sperimenta le potenzialità della vernice industriale dando vita a opere dove protagonista assoluto è il colore, un colore materico, lucido, vischioso, steso a spatola su tavole di legno. Di questo smalto industriale da carrozziere, Dalcò conosce ormai ogni movimento: sa che i toni non si mescolano ma scivolano uno dentro l’altro, come un magma caldo che l’artista lascia colare con sapienza sul legno.
Accanto all’abilità tecnica, lo accompagna nel suo percorso una grande sensibilità nell’accostare i colori: Dalcò crea equilibri cromatici con una materia pittorica difficile, scelta e amata fin dagli esordi, ma tossica, che lo obbliga a proteggersi volto e mani mentre dipinge, usando al posto dei pennelli pezzi di cartone che fungono da spatole.
Dalcò mette alla prova la tecnica, così come i soggetti che sonda in tutte le varianti espressive e poi abbandona, per concentrarsi su nuovi temi e suggestioni. Sembra che le serie di tavole nascano da contrasti, generate da uno iato iniziale che si fa ossimoro esplicito nella serie Metal Woods del 2003; mentre nelle tavole Grande fiume e H2O, realizzate tra il 2005 e il 2006, l’antitesi è giocata sulla rilettura attraverso colori artificiali, quasi psichedelici, del sentimento naturale dell’acqua. E’ quanto accade anche nella serie Arabeschi, dove su fondali profondi e traslucidi si snodano elementi metallici fissati da bulloni: l’ortogonalità del congegno meccanico si trasforma, lasciando posto alla casualità dell’intreccio vegetale. Le opere intitolate Flowers of Evil (2003) trasformano i fiori - icone della tradizione pittorica - in apparizioni inquietanti che in alcune tavole sembrano crocifissioni, immagini colte un attimo prima della decomposizione-sparizione.

Dal 2008 Lorenzo Dalcò ha concentrato la sua ricerca sui Musi Canti, opere dove la forza del colore trova la massima espressione nell’incontro con l’adrenalina della musica. Le istantanee live di cantanti e musicisti sono rese con un lungo processo di sovrapposizioni di colori: punto di partenza per Dalcò è sempre lo sfondo che nasce quasi d’istinto, con larghe colate, su cui poi costruisce con strati densi i protagonisti, colti nello sforzo e nella concentrazione della musica. L’ambiente indefinito che accoglie i Musi Canti sembra essere la traduzione cromatica dei toni della musica, squillante, tagliente, oppure cupa, profonda, comunque sempre diffusa e resa concreta attraverso la vernice. La musica si vede, ed è una musica vitale.

Elisabetta Bernardelli 2010



Nelle opere di Dalcò , ci è offerta la possibilità di assistere, di essere testimoni all’emergere del colore, del donarsi del colore alla vista, di mostrarsi alla visibilità. E del costituirsi delle forme attraverso il colore.
Colore che si diffonde che scorre, scivola sulle “tavole” e si arresta solamente quando un altro colore gli impedisce di fluire, di uscire da un qualsiasi ostacolo o controllo.
Ciò accade nelle ultime opere dove il sentimento verso la mimesi della natura è superato ma mantenuto all’interno della materia coloristica.
La pittura di Dalcò è la liquidità che sgorga dalla (Madre) natura, liquidità in cui egli è immerso e che lo ha condotto a scegliere l’acquerello e la vernice da auto perché questa presenta la brillantezza l’intensità e la purezza del colore, insieme alla fluidità simile all’acqua, nonostante la densità intrinseca che la caratterizza.
Questa materia pittorica essenzialmente consona alla pulsione che lo domina, costringe Dalcò, a causa della sua tossicità a proteggersi. Egli non la tocca, non la può toccare, infatti prende tutte le precauzioni affinché il liquido possa entrare solamente in rapporto con gli occhi e non con la vista- è attraverso questa che il liquido colorato entra in lui ne è compenetrato – in lui la liquidità degli occhi – vista e del colore si identificano – il colore – il liquido colore, è interiorizzato.
Nella sua taverna – studio sono esposte insieme due opere (forse le prime esperienze pittoriche) rivelatrici e “programmatiche”.
La prima consiste nella rappresentazione di un feto color nero immerso in liquido (amniotico) color giallo; vicino a questo è appesa l’altra opera rappresentante un uomo, un giovane nell’atto di scagliare violentemente una pietra contro il sole, il quale si infrange spruzzando intorno miriade di colori.
M. Granet studioso della tradizione del pensiero cinese, lo Hong Fan, del secondo e terzo millennio a.c. mostra la corrispondenza di serie combinatorie e l’equivalenza tra il colore, il sapore, l’orientamento, le stagioni e i numeri. Così il giallo è il centro - terra – dolce seminato e mietuto. Il centro è il ventre della terra madre, il liquido amniotico in cui l’artista abita … il rosso invece è identificato con l’estate, il sud, il fuoco, e analogamente agli elementi democritei, al sapore amaro, all’alto.
Si tratta allora di vedere qui un’altra connessione, quella più intima che riguarda il conscio e l’inconscio, dove il simbolo (il colore liquido) la sua liquidità, richiama l’origine ed il fondo inesplorato che nessuna parola può riassumere e comprendere, ma è quello spazio dell’immagine, del rimosso.
La psicanalisi ha insegnato: quando l’oggetto originario di un moto di desiderio è andato perduto in seguito a rimozione, spesso viene sostituito da una serie interminabile di atti sostitutivi nessuno dei quali soddisfa pienamente, di cui però l’immagine – Simbolo (creativo) è in prossimità di tale oggetto. Tale immagine, la sua produzione soddisfa, si è detto, parzialmente il il desiderio mai finito reiterato, e qui si riallaccia, comunica di nuovo alla creatività della natura. Nel pensiero primitivo, al tempo del culto della fertilità la terra era considerata Dea Madre della vegetazione; Dalcò sembra essere in ascolto e udire l’eco di quel primordiale culto: le manifestazioni arboree, la loro rappresentazione sembrano sorgere da movimenti della terra e dalle acque che vibrando insieme creano gli alberi, le foreste, foreste che tengono il tempo rinchiuso nella loro promiscua matrice, che non permettono altro e favoriscono la dispersione, l’indipendenza, l’anomia, la poligamia anche l’incesto tra padre e figlio e tra madre e figlio – un magma di potenza ctonica- liquida intrisa di colore.
Colore che si distende invade deborda, non conoscendo limiti se non quelli posti attraverso lo scontro con altre forse liquide e altre forze sorgive dalla potenza coloristica pura – intensità di forze pure, di colore puro, il quale nel loro incontro entrano in conflitto o si risolvono rinfrangendosi sui loro bordi, amalgamandosi reciprocamente e producendo talvolta accordi.
Questo aggregarsi nel moto organico tende quindi forse a realizzarsi come equilibrio tra la pulsione dell’artista e le forze della natura da lui stesso individuate nel colore – simbolo; a ricomporsi dopo la violenza disgregante mostrata nel dipinto del sole infranto … E’ questo il problema che necessariamente Dalcò dovrà affrontare con urgenza.

Fabrizio Sabini





Le città "trasformate" 

Sono 25 smalti su tavola, di dimensioni medie, quelli che Lorenzo Dalcò espone sino al 27 aprile al Centro Immagini Contemporanee di International Line, sulla via di Traversetolo. Sono vedute di città, alcune, come Oviedo, ritratte più di una volta. In realtà, sia dal punto di vista coloristico, sia dal punto di vista dell’impianto, non c’è niente del vedutismo tradizionale, che pure l’autore ha presente, come un archetipo violato. Queste città provengono da lontano. Da un lontano che non è soltanto spazio, ma tempo interiore. Sono scorci caratteristici, ma dalla prospettiva schiacciata. Inoltre, la densità dalla pittura, le colature, lo sconfinare delle campiture l’una sull’altra, la forza dei colori caldi fanno pensare ad immagini la cui riconoscibilità e la cui identità si sono perse lungo il tragitto della memoria e della maturazione interiore. Sono immagini di un espressionismo (inteso qui come categoria metastorica dell’espressione, ovvero quel processo che dall’interno dell’individuo si muove verso l’esterno) che non scaturisce di getto, ma dalla meditazione. E questo, al di là della relativa velocità d’esecuzione. Ma la maturazione e la memoria a cui il dato sensibile è sottoposto prima di brillare sulla tavola sono esperienze non soltanto del sentimento, bensì, anche, dell’arte. Ecco allora scorci popolati da fantasmi metafisici, illuminati da ricordi e suggestioni postimpressionistiche, prospettive ricalcolate da ragionamenti cubisti. Persino il tratto infantile è utilizzato in parte, per rendere in modo diretto e semplice, senza ambizione, il dialogo tra soggetto e oggetto, evitando le mediazioni e sovrastrutture naturalistiche ed impressionistiche, intese come accidenti. Ecco che allora Londra, New York, Siviglia, Parigi, Baghdad, Montevideo, Palermo e le altre sono tappe di un viaggio solitario e spopolato, in cui alle città l’autore strappa gli intonaci, l’aria, le acque, stracci di gli orizzonte, strade, per poi ridarceli trasformati.

Camillo Bacchini




Lorenzo Dalcò e la cartografia del fantastico

La pittoscultura di Lorenzo Dalcò viene da un lungo lavoro sul paesaggio e di questa ricerca, non sempre rigorosa né coerente, ma ondivaga con riprese ed abbandoni altrettanto repentini, porta le tracce, sia nella passione per la città nel suo complesso, per la veduta, che si distende ampia e panoramica, per lo skyline che rompe cieli arrossati, avvampanti o freddi di intensità boreali. Da qui è partito Dalcò, ma il suo viaggio non si è certo fermato a queste atmosfere, a queste allusioni ad una natura che diventava sempre più pittura, sempre più materia cromatica, che si accendeva di bagliori, si incupiva dando vita a monocromi con variazioni di tono su tono, ad un complesso equilibrio instabile tra la visione dell’immagine della città, le sue luci, i suoi umori distillati da alchimista e la sua trasposizione su di una carta geografica, nella magia di una rappresentazione simbolica sospesa tra l’invenzione e l’evocazione della realtà. Rimando ad altro, spesso confondendo o meglio contaminando l’orizzonte con la veduta dall’alto, zenitale o a volo d’uccello, sulle quali, nelle ultime opere, viene sovrapponendo ponti che sono vere e proprie sculture sovrapposte, che evocano l’astrazione verso la quale sta muovendo, ma che ancora non ha il coraggio di affrontare apertamente, che svela il suo gusto per la tridimensionalità della materia. Il ponte lega, unisce, stabilisce contatti, indicano direzioni e costituiscono vie privilegiate e questo vogliono essere questi elementi unitari che dominano un indistinto naturale che evoca, allude, rimanda, dando ad esso in un certo senso una stabilità, nell’ovvia articolazione fantastica di struttura che il ponte, tanto più è ampio, aggettante sul vuoto, possiede. E’ un sorpassare, ma anche un contenere l’intera immagine, in un nascosto desiderio di sintesi. E’ in passaggio intermedio, che poterà Dalcò verso altri spazi, altre dimensioni.

Marzio Dall’Acqua
presidente dell’Accademia Nazionale
di Belle Arti di Parma




I FIORI DEL MALE


FIORI, fiori del male, fiori aggressivi, essenze negative, trascurate, folli.
Colori contrastanti, intensi,dannosi.
Steli sinuosi e tortuosi.
Petali generosi e armoniosi.

Fiori, fiori del male… ma come può un fiore essere comparato al male, alla perversione?
La natura ha concepito questo vegetale con solerzia bellezza.

“Non sono sbocciati spontaneamente, ma sono frutto delle mie mani.
Li ho fatti germogliare con vernici industriali, sintetiche, deleterie alla salute.
Nascono così i miei fiorirai vividi effetti cromatici.
Un mormorio di scintillanti riflessi, tra folte erbe cieli neri che si specchiano negli occhi di colui che si sofferma a guardare i miei dipinti”.

Sgocciolature che scendono piano .. immobili..
Fiori artificiali che si intrecciano, tra sfondi decisi e ombre impalpabili.

Finatti Gloria



Città vuote senza tempo aperte al sogno

Sembrano così vivaci, serene le vedute urbane di Lorenzo Dalcò esposte alla Libreria Fiaccadori fino al 28 marzo. Sembrano, se ci lasciamo sedurre dall’esuberanza cromatica degli smalti. In realtà le città di Dalcò sono vuote, certo piene di colori, esultanti di luci, ma vuote. Le sue tinte forti, espressioniste fanno pensare alle vedute di Murnau della Von Werefkin o del primo Kandinsky, ma ad esse si sovrappone una strana desolazione, una solitudine moderna, e non tanto attesa metafisica, dechirichiana, ma assenza, vuoto alla Hopper. Le scene sono quasi sempre notturne e parrebbe normale questa totale mancanza di individui. Ma poi ci si chiede se c’è ancora qualcuno nelle case illuminate o s’è tutto fermato in questi ritratti urbani simili a nature morte dalla vita sospesa, invisibile, inafferrabile. Che senso ha la città senza l’uomo? Senza il transito, il passaggio della gente? Immaginiamo i quadri di Caillebotte improvvisamente svuotati. Restano i riflessi, mancano i respiri, i suoni. Eppure è tutto così fremente, lucente e fragorosamente muto. Talvolta Dalcò adotta come in «Montevideo» effetti informali atmosferici alla Turner, seppur resi con smalti, apparizioni dense; le anime delle città in grumi di colore. Sono così tutte racchiuse in momenti privilegiati, come li chiamerebbe Emily Dickinson, ovvero notti o albe, quando il mondo è colto nella sua bellezza sorgiva e distratta, ancora vergine dell’impeto del giorno, della sua frenetica confusione. Allora le strade si percorrono come in un incantesimo. Le uniche forme viventi sono tre cavalli stilizzati in Oviedo. Statue o miraggi? Misteri. Perché opere così vibranti, crepitanti, accese sono però sature di dubbi, di pensieri trattenuti. Urbanesimo forse non può stare senza l’umanesimo. L’anima dei luoghi, più ancora che nei Metafisici o nei Surrealisti, è qui rapita in un’illusione. Dalcò rappresenta città che non hanno passi né ombre, intatte e imperfette, sveglie nelle luci come tra quinte di sogni.

Manuela Bartolotti



ARABESCHI

Arabeschi della vita, del destino, dell’immaginario, intrecci reali e virtuali di luci, ombre, colori e materiali che tornano a vivere ed a prendere forma nelle tavole-dipinte di Lorenzo Dalcò.
Da un lungo lavoro sul paesaggio e dalla passione per la città nel suo complesso, per la veduta ampia e panoramica, per lo skyline, che rompe cieli arrossati, avvampati o freddi di intensità boreali, Dalcò, grazie alla sua solidità espressiva elabora e concretizza questa personale ricerca.
La sensazione è ora di una veduta dall’alto, zenitale, dove vere e proprie sculture si sovrappongono a nuovi spazi…
Dal suo iniziale bisogno di “gettare ponti”, quale urgenza di trasmettere, comunicare, superare il limite ed assurgere ad esperienze “altre”, alle sue pittosculture dove i ponti sono ora arabeschi che si trasformano in percorsi in parte segnati, in parte forse, in parte sono magiche rappresentazioni della realtà sospesa ed invenzioni che evocano l’astrazione e la tridimensionalità della materia. Rielaborazione del proprio linguaggio e ricerca-rivisitazione di materiali ai quali Dalcò torna a dare vita, pulsione, sapore, tattilità e colore e la pittura diventa più materia cromatica grazie anche all’utilizzo sapiente di tecniche miste elaborate con acrilici, vernici d’automobile, legni imbullonati su colori e materiali di recupero.
Tutto questo unito alla sua maestria nell’utilizzo delle vernici, all’alchimia di rendere acquerellabile uno smalto e dare consistenza materica all’acquerello, rende unica ogni sua opera.


Daniela Carlevaris




LA REALTÀ VISTA E RACCONTATA DALL’ALTO NEI FRAMMENTARI ARABESCHI DI DALCÒ


La pittura è intrico, la terra colore.nelle mani di Lorenzo Dalcò il paesaggio diventa arabesco, frammento, minima parte di un tutto che, a poco a poco, infrange concettualmente i confini della tavola. Una ventina di vedute aeree al limite dell’astrazione, cariche di colore, di materia e di stinti frammentari del quotidiano.
Dopo aver “gettato ponti” tra il concreto e l’astratto, tra le liquide rive del grande fiume e un’astrazione in fieri, palpitante, ribollente, ma ancora conchiusa tra le maglie del paesaggio, Dalcò giunge, con quest’esposizione, ad una nuova maturità pittorica, dove la natura è spunto, l’immaginazione sciolta.
Sporgendosi dall’oblò dell’aereo, l’artista guarda la terra, le periferie e le città che, perdendo ogni carattere iconico, si stemperano tra i vapori inebrianti dell’astrazione. Nulla si perde e nulla si distrugge: le forme intraviste si ricompongono in nuove geometrie che, del vecchio, conservano intatta la forza. I frammenti, i momenti e gli spazi osservati dall’autore sono vedute zenitali, visioni a volo d’uccello che, attingendo alle suggestioni dell’immaginario geografico, mutano il segno in materia e la pelle del quadro in trionfo cromatico. Duettando con colori complementari , quasi sempre primari e secondari, l’artista alterna smalto e acrilico, lucido e opaco, in un tessuto cromatico vibrante ed avvolgente, sulle creste materiche si radicano schegge di vetro e sculture di legno.
Arabeschi della vita e del destino, intrecci reali e virtuali che non sembrano posarsi lievemente sulla tavola o galleggiare nel colore, ma si presentano in tutta la loro possanza scultorea, che assorbe linfa direttamente al colore. E il legno è vivo, certo inciso, scalfito e verniciato, ma comunque vivo, tanto che l’idea dell’artista non sembra trasposta sulla tavola, ma avvitata di peso, come se non si trattasse di un’immagine, ma di una formazione calcarea, che si solleva , appunto, dalla stratificazione cromatica. I colori scivolano formando spigoli, grumi, concavità e quella materia indistinta, che è legno, pigmento, specchio e materiale di recupero, che è tutto e niente, diventa di volta in volta ferrosa, vegetale ed aerea. Quei rami contorti, che solcano i blu, i porpora, i viola e gli aranci, non sono dunque griglie sovrapposte che schermano le paste, ma itinerari dell’opera, in grado di dare consistenza materica al colore.

Chiara Serri

Formazione

autodidatta

Tematiche

astratti, paesaggi, informale, fiori

Tecniche

smalti da carrozzeria
smalti da carrozzeria/acrilici
acquerelli
quant'altro

link video esplicativo tecnica utilizzata
www.youtube.com/watch?v=OEG_Z_JMtss


Premi

PARTECIPAZIONI
1994-vincitore del 1° premio del “Quadro di piccolo formato Città di Parma” a Colorno
1995-“L’eau et l’art” Parigi
1999 “vincitore del 2° premio del “17° Concorso di Pittura Estemp. sez. Giovani” Soragna
2000-“L’occhio in ascolto”Genova
2001 -“L’artista leonardiano del 3° millenio” Massenzioarte Roma
2003-selezionato sul catalogo Virgilio “35under35” Brindisi
2005-copertina del mensile “il caffè del teatro”

MOSTRE PERSONALI:
1998-RATAFIA’, Parma
1999-TONIC, Parma
-“FIGURE”RANGON, Parma
-“IL DUEMILA”libreria Fiaccadori , Parma
2000-“ARTERIO”TONIC,Parma
-“MIND CONDITION”Brain&Soul Cafè Reggio Emilia
-“THE SMELL OF SUMMER RAIN” Optissimo, Parma
2001-“THE SOUND OF NOTHING” Rio emporio casa, Langhirano
2002-“THIEF OF IMAGES” Mosquito, Parma
2003-“METAL WOODS” Galleria Centro Immagini Contemporanee, Basilicanova (testo critico Fabrizio Sabini)
2004-“I FIORI DEL MALE” Serre Petitot Parma
“NEVE A VIANINO” libreria Fiaccadori Parma
2005-“APPUNTI DI VIAGGIO” caffetteria del Prato Parma
2006-“IL GRANDE FIUME” enoteca XX settembre Parma
-“GETTARE PONTI” rocca sanvitale Sala Baganza (testo critico Marzio Dall’acqua)
2008-"ARABESCHI" spazioarte Parma (testo critico Daniela Carlevaris)
2010-“I MUSI CANTI” libreria Centro Torri
2010-“OPERE 2000-2010” Villa Soragna Collecchio (testo critico Elisabetta Bernardelli)
2013-“URBANESIMO” centro immagini contemporanee (testo Fabrizio Sabini)
2014-“CITTA’” libreria Fiaccadori Parma
2015-“Pärma e la so' provincia” libreria Fiaccadori Parma
2018-“CITYNZENRY”Oratorio Novo della Biblioteca Civica
-“THE CITIES” Myes Parma in collaborazione con l’evento Parma360
2018-“NOSTALGICO PRESENTE” Cubo (testo critico Elisabetta Quaranta)
2019-“CITTA’ FAVOLOSE” Hub Cafè in collaborazione con l’evento Parma360
2020-“RICORDI DI PARMA ESPRESSIONISTA” Libreria Fiaccadori
-“DIURNONOTTURNO” Showroom Faraboli



MOSTRE COLLETTIVE:
1998-“GIOVANI IN ARTE”, Noceto (PR)
-GIARDINI DI S.PAOLO, Parma
-QUOTIDIANA MUNDUS, Padova
2001-“NATURA IN POSA” Galleria U.C.A.I. Parma
-“UNDER30” Crema
2002-“OPERABUONA”, Reggio Emilia
“CAOS E COMUNICAZIONE”, Parma
2003-“ALFA E BETA” a cura di Mauro Buzzi, Langhirano
2005-“I GIGANTI DI PALAZZO BENTIVOGLIO” a cura di Mauro Buzzi, Gualtieri
2008-“RINTRACCIARTI” Palazzo della Ragione, Mantova
2012-“ARTEMERGENZA” Ateliers Viaduegobbitre per un aiuto ai terremotati, Reggio Emilia
2013-“L’ARTE STA NELL’ALBERO COME L’ALBERO STA NELL’ARTE” a cura di Mauro Buzzi, Villa Soragna Collecchio
2017-"PAESAGGI ITALIANI" Galleria Giuliani Fiano Romano a cura di Antonio Giuliani

Hanno scritto di lui: Fabrizio Sabini, Stefania Provinciali, Marzio Dall’acqua, Chiara Serri, Annalisa Corradi, Mauro Nuzzo, Daniela Carlevaris, Camillo Bacchini e Manuela Bartolotti


Bibliografia

DALCO’ LORENZO da sempre affascinato dalle arti figurative, ha iniziato, autodidatta, a lavorare con l’acquerello nel’93.
Nel ’94 si è iscritto all’ARCHIVIO GIOVANI ARTISTI di Parma.
Dal ’95 lavora con i colori ad olio percorrendo temi classici, quali il figurativo, nature morte e paesaggi.
Dal ’97 produce quadri di grosso formato, astratti e non, utilizzando smalti acrilici.